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La risicoltura pavese nel secondo dopoguerra: mercato, meccanizzazione, mano d'opera e trasformazioni colturali
Nel 1945 le risaie ufficialmente si ridussero, rispetto al '39, da 156.824 ettari a 97.035 in Italia e da 44.430 a meno di 23.000 in provincia di Pavia, con una perdita notevole soprattutto nell'ultimo anno. La risicoltura dipendeva dai mercati esteri per la collocazione delle eccedenze (circa il 50% del prodotto nazionale); inoltre, per combattere la disoccupazione a ogni azienda era imposto un forte carico di mano d'opera. I risicoltori erano per 2/3 affittuari e nei periodi di crisi faticavano ad aver un bilancio in attivo. La guerra di Corea (1950-53) tolse momentaneamente dal mercato un forte esportatore. La superficie nazionale e provinciale aumentò, ma dal '54 ricomparvero le difficoltà e il Ministero di Agricoltura, nel '56, fissò un limite di 140.000 ettari alla superficie (ridimensionamento). Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi Sessanta sempre più lavoratori agricoli trovarono impiego nel ramo dell'industria e dal '62 la superficie a riso tornò libera: in pochi anni la risicoltura cambiò volto, affrontando le difficoltà derivanti da una meccanizzazione ancora imperfetta e dalle nuove sfide del Mercato Europeo Comune.