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Abstract
L’articolo sviluppa cinque tesi innestate nella più lunga Lettera Enciclica scritta da San Giovanni Paolo II (1920-2005) esattamente a vent’anni dalla sua promulgazione (1998-2018), «Fides et ratio» inerente i rapporti intercorrenti tra fede e ragione. Alcune vennero intercettate durante il ventennio trascorso, altre sono inedite. Con la prima si ribadisce la completa autonomia della filosofia rispetto alla teologia cristiana, quale scienza della fede che pensa se stessa, motivo per il quale il sapere teologico non sposa nessun tipo di filosofia, ovvero la utilizza «qua talis». Con la seconda si ribadisce che la fede senza la «recta ratio» – oggi intorbidita e indebolita dalla società della tecnica – non potrebbe nulla senza il logos di cui si è attrezzata fin dall’inizio. Così, con la terza tesi si (di)mostra che, onde evitare che il pensiero riproducente se stesso prosegua all’infinito, essi trovi nella forma incarnata del logos – Gesù Cristo – l’unica «saturazione» del proprio ricercare. La quarta tesi rivela qualcosa che era sfuggito fino a qualche mese fa, ossia l’insistenza di «Fides et ratio» ad aprirsi ad altre culture, oltre a quella cristiana piuttosto secolarizzatasi, tipo quella indiana o asiatica, essendovi una «ratio». Con la quinta tesi, ugualmente inedita, si ravvisa che solo una «ragione etica» ovvero amicale, responsabile, fiduciale, appunto, può permettere alla fede di raggiungere quel livello rivelativo cui anela: nella persona di Gesù Cristo.