Orienting Italy: China through the Lens of Italian Filmmakers

IF 0.1 0 LANGUAGE & LINGUISTICS
Giampaolo Molisina
{"title":"Orienting Italy: China through the Lens of Italian Filmmakers","authors":"Giampaolo Molisina","doi":"10.5406/23256672.100.1.15","DOIUrl":null,"url":null,"abstract":"Collocato nell’“entanglement” (3) tra cultura italiana e cinese, il volume di Mary Ann Carolan è un eccellente studio—il primo di questo tipo—che analizza le diverse modalità di rappresentazione della Cina e della sua cultura nella tradizione cinematografica italiana. Nella disamina delle sette opere oggetto dello studio, l'autrice tiene sapientemente conto sia degli approcci estetici adottati dai vari registi nel ritrarre la cultura cinese, sia del modo in cui le ideologie politiche e le congiunture socioeconomiche hanno condizionato la realizzazione e la distribuzione dei film. La ricognizione si estende cronologicamente dal 1958 al 2011, spaziando tra pellicole di genere documentaristico e di finzione storico-narrativa. Tra i film presi in esame si possono individuare due tipologie di opere: quelle che ritraggono il paesaggio, la cultura e la storia della Cina in terra orientale; quelle che indagano le relazioni e le dinamiche interculturali in Italia, tra comunità di immigrati cinesi e italiani. Fanno parte della prima categoria La muraglia cinese (Carlo Lizzani, 1958), Chung Kuo-Cina (Michelangelo Antonioni, 1972), L'ultimo imperatore (Bernardo Bertolucci, 1987) e La stella che non c’è (Gianni Amelio, 2006). Alla seconda categoria appartengono Gorbaciof (Stefano Incerti, 2010), Io sono Li (Andrea Segre, 2011) e Miss Little China (Riccardo Cremona e Vincenzo De Cecco, 2009).Il capitolo iniziale del volume esamina la prima produzione cinematografica italiana in terra cinese. Nel suo La muraglia cinese Lizzani ricopre un vasto territorio della Cina, dal confine siberiano alle città di Shanghai, Hong Kong e Pechino. Sommamente interessante è l'enfasi posta da Carolan sull'ibridismo del film, giacché nella docufiction di Lizzani, tra immagini autentiche ed episodi di finzione narrativa interposti dal regista, è messa in discussione la presunta obbiettività del genere documentaristico. In sostanza, l'autrice si chiede se, al di là del pregevole lirismo di molte delle sequenze, le scelte stilistiche di Lizzani non abbiano contribuito a fornire un ritratto eccessivamente soggettivo del paesaggio e degli abitanti della Cina dell'epoca (27).Il successivo capitolo analizza il celebre Chung Kuo-Cina di Antonioni. Alla copiosa letteratura sul documentario del ferrarese, si aggiungono le acute considerazioni di Carolan sulla disastrosa ricezione del film in Cina. Per l'autrice, l'interesse predominante del regista per la sfera individuale dei soggetti ripresi—piuttosto che per la loro funzionalità collettiva—e l'intenzionale predilezione per i paesaggi pastorali rispetto alla rappresentazione del progresso tecnologico della Cina maoista, determinarono il giudizio estremamente negativo dell'establishment cinese, al punto che il film venne bandito perché ritenuto reazionario e controrivoluzionario. Il ben noto interesse di Antonioni per l'interazione psicologica tra spettatore e immagine rappresentata suscitò l'avversione delle autorità locali, le quali ambivano non solo a suggerire al regista cosa dovesse essere rappresentato nel film, ma anche il modo in cui dover ritrarre la realtà (58).Nel terzo capitolo Carolan intravede una continuità tra la linea estetica di Antonioni e il colossal epico-biografico di Bertolucci, giacché anche in L'ultimo imperatore prevale l'interesse per la sfera individuale. In tal senso—rifacendosi alla lettura di Millicent Marcus −, l'autrice rileva il peso dell'impronta psicoanalitica nel film: come nei precedenti Il conformista (1970) e Novecento (1976), anche in quest'opera per Bertolucci la dimensione personale è politica (67–68). Spicca, inoltre, l'accorta analisi sulla rappresentazione delle figure femminili. Carolan fa notare come nel film esse non abbiano una funzione determinante. A detta dell'autrice, un'analoga inazione è riscontrabile anche nella rappresentazione della prigionia dell'imperatore nella Città proibita: alla stregua dei personaggi femminili, il sovrano di Bertolucci è un personaggio passivo che non controlla nessuno, tantomeno se stesso (77).La tesi principale del quarto capitolo è la forte affinità tra La stella che non c’è e il neorealismo cinematografico. Carolan individua gli aspetti del film di Amelio che riecheggiano tale modalità estetica: lo scorrere del tempo che ricorda il lento cadenzare della vita reale; il casting composto da numerosi attori non professionisti; la predilezione per gli scenari autentici; i dialoghi in cui si alternano italiano e cinese (su questo punto, Carolan scorge un interessante segnale in prospettiva interculturale). In sostanza, l'autrice dimostra come nel film, attraverso l'approccio neorealista, Amelio sia riuscito ad attenuare gli effetti orientalizzanti di una visione eccessivamente occidentale dell'Est (91).Nei due film esaminati nel quinto capitolo le protagoniste femminili acquisiscono la funzione di raccordo tra dimensione culturale cinese e italiana. L'autrice nota come sia in Gorbaciof che in Io sono Li emerga una netta supremazia delle immagini sui dialoghi, tanto che i numerosi primi piani e la speciale cura nelle angolazioni di ripresa suggeriscono un'estetica riconducibile al cinema di poesia pasoliniano. Tuttavia, Carolan individua differenti modalità di rappresentazione dell'interculturalità tra le due pellicole. Da un lato, la protagonista del film di Incerti non si integra in alcun modo alla dimensione italiana, ed è ritratta dal regista come oggetto esotico dello sguardo e del controllo maschile, distante e inconoscibile (110). Diversamente, nel film di Segre la protagonista vive una progressiva assimilazione al tessuto sociale che la accoglie; l'amicizia che la donna instaura con un pescatore slavo residente in Italia da oltre trent'anni funge da punto di raccordo tra culture diverse, suggerendo per entrambi la possibilità di una nuova esistenza in una terra straniera (122).Nell'ultimo capitolo Carolan torna al genere documentaristico. L'autrice osserva come Miss Little China, rispetto ai film di Lizzani e Antonioni, proponga la visione di una cultura cinese ormai volta all'integrazione con l'Italia. La comunità di immigrati rappresentata è in effetti quella delle seconde generazioni. Documentando le ambizioni, i sentimenti e le paure di un gruppo di giovani aspiranti miss, il film presenta lo spaccato di una generazione che, in sospeso tra due realtà identitarie, si situa a pieno titolo nell'intersezione tra le due culture (147). A testimonianza di tale processo di assimilazione, nelle conclusioni Carolan riporta le numerose collaborazioni che, negli ultimi anni, hanno coinvolto l'industria cinematografica italiana e cinese.Con il suo Orienting Italy, Carolan consegna quindi al lettore un primo e documentato studio sulle modalità con cui la cinematografia italiana ha contribuito alla conformazione dell'idea di Cina nell'immaginario del Belpaese, aprendo il passo verso nuove e auspicabili prospettive di ricerca.","PeriodicalId":29826,"journal":{"name":"Italica Belgradensia","volume":null,"pages":null},"PeriodicalIF":0.1000,"publicationDate":"2023-03-01","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":"0","resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":null,"PeriodicalName":"Italica Belgradensia","FirstCategoryId":"1085","ListUrlMain":"https://doi.org/10.5406/23256672.100.1.15","RegionNum":0,"RegionCategory":null,"ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":null,"EPubDate":"","PubModel":"","JCR":"0","JCRName":"LANGUAGE & LINGUISTICS","Score":null,"Total":0}
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Abstract

Collocato nell’“entanglement” (3) tra cultura italiana e cinese, il volume di Mary Ann Carolan è un eccellente studio—il primo di questo tipo—che analizza le diverse modalità di rappresentazione della Cina e della sua cultura nella tradizione cinematografica italiana. Nella disamina delle sette opere oggetto dello studio, l'autrice tiene sapientemente conto sia degli approcci estetici adottati dai vari registi nel ritrarre la cultura cinese, sia del modo in cui le ideologie politiche e le congiunture socioeconomiche hanno condizionato la realizzazione e la distribuzione dei film. La ricognizione si estende cronologicamente dal 1958 al 2011, spaziando tra pellicole di genere documentaristico e di finzione storico-narrativa. Tra i film presi in esame si possono individuare due tipologie di opere: quelle che ritraggono il paesaggio, la cultura e la storia della Cina in terra orientale; quelle che indagano le relazioni e le dinamiche interculturali in Italia, tra comunità di immigrati cinesi e italiani. Fanno parte della prima categoria La muraglia cinese (Carlo Lizzani, 1958), Chung Kuo-Cina (Michelangelo Antonioni, 1972), L'ultimo imperatore (Bernardo Bertolucci, 1987) e La stella che non c’è (Gianni Amelio, 2006). Alla seconda categoria appartengono Gorbaciof (Stefano Incerti, 2010), Io sono Li (Andrea Segre, 2011) e Miss Little China (Riccardo Cremona e Vincenzo De Cecco, 2009).Il capitolo iniziale del volume esamina la prima produzione cinematografica italiana in terra cinese. Nel suo La muraglia cinese Lizzani ricopre un vasto territorio della Cina, dal confine siberiano alle città di Shanghai, Hong Kong e Pechino. Sommamente interessante è l'enfasi posta da Carolan sull'ibridismo del film, giacché nella docufiction di Lizzani, tra immagini autentiche ed episodi di finzione narrativa interposti dal regista, è messa in discussione la presunta obbiettività del genere documentaristico. In sostanza, l'autrice si chiede se, al di là del pregevole lirismo di molte delle sequenze, le scelte stilistiche di Lizzani non abbiano contribuito a fornire un ritratto eccessivamente soggettivo del paesaggio e degli abitanti della Cina dell'epoca (27).Il successivo capitolo analizza il celebre Chung Kuo-Cina di Antonioni. Alla copiosa letteratura sul documentario del ferrarese, si aggiungono le acute considerazioni di Carolan sulla disastrosa ricezione del film in Cina. Per l'autrice, l'interesse predominante del regista per la sfera individuale dei soggetti ripresi—piuttosto che per la loro funzionalità collettiva—e l'intenzionale predilezione per i paesaggi pastorali rispetto alla rappresentazione del progresso tecnologico della Cina maoista, determinarono il giudizio estremamente negativo dell'establishment cinese, al punto che il film venne bandito perché ritenuto reazionario e controrivoluzionario. Il ben noto interesse di Antonioni per l'interazione psicologica tra spettatore e immagine rappresentata suscitò l'avversione delle autorità locali, le quali ambivano non solo a suggerire al regista cosa dovesse essere rappresentato nel film, ma anche il modo in cui dover ritrarre la realtà (58).Nel terzo capitolo Carolan intravede una continuità tra la linea estetica di Antonioni e il colossal epico-biografico di Bertolucci, giacché anche in L'ultimo imperatore prevale l'interesse per la sfera individuale. In tal senso—rifacendosi alla lettura di Millicent Marcus −, l'autrice rileva il peso dell'impronta psicoanalitica nel film: come nei precedenti Il conformista (1970) e Novecento (1976), anche in quest'opera per Bertolucci la dimensione personale è politica (67–68). Spicca, inoltre, l'accorta analisi sulla rappresentazione delle figure femminili. Carolan fa notare come nel film esse non abbiano una funzione determinante. A detta dell'autrice, un'analoga inazione è riscontrabile anche nella rappresentazione della prigionia dell'imperatore nella Città proibita: alla stregua dei personaggi femminili, il sovrano di Bertolucci è un personaggio passivo che non controlla nessuno, tantomeno se stesso (77).La tesi principale del quarto capitolo è la forte affinità tra La stella che non c’è e il neorealismo cinematografico. Carolan individua gli aspetti del film di Amelio che riecheggiano tale modalità estetica: lo scorrere del tempo che ricorda il lento cadenzare della vita reale; il casting composto da numerosi attori non professionisti; la predilezione per gli scenari autentici; i dialoghi in cui si alternano italiano e cinese (su questo punto, Carolan scorge un interessante segnale in prospettiva interculturale). In sostanza, l'autrice dimostra come nel film, attraverso l'approccio neorealista, Amelio sia riuscito ad attenuare gli effetti orientalizzanti di una visione eccessivamente occidentale dell'Est (91).Nei due film esaminati nel quinto capitolo le protagoniste femminili acquisiscono la funzione di raccordo tra dimensione culturale cinese e italiana. L'autrice nota come sia in Gorbaciof che in Io sono Li emerga una netta supremazia delle immagini sui dialoghi, tanto che i numerosi primi piani e la speciale cura nelle angolazioni di ripresa suggeriscono un'estetica riconducibile al cinema di poesia pasoliniano. Tuttavia, Carolan individua differenti modalità di rappresentazione dell'interculturalità tra le due pellicole. Da un lato, la protagonista del film di Incerti non si integra in alcun modo alla dimensione italiana, ed è ritratta dal regista come oggetto esotico dello sguardo e del controllo maschile, distante e inconoscibile (110). Diversamente, nel film di Segre la protagonista vive una progressiva assimilazione al tessuto sociale che la accoglie; l'amicizia che la donna instaura con un pescatore slavo residente in Italia da oltre trent'anni funge da punto di raccordo tra culture diverse, suggerendo per entrambi la possibilità di una nuova esistenza in una terra straniera (122).Nell'ultimo capitolo Carolan torna al genere documentaristico. L'autrice osserva come Miss Little China, rispetto ai film di Lizzani e Antonioni, proponga la visione di una cultura cinese ormai volta all'integrazione con l'Italia. La comunità di immigrati rappresentata è in effetti quella delle seconde generazioni. Documentando le ambizioni, i sentimenti e le paure di un gruppo di giovani aspiranti miss, il film presenta lo spaccato di una generazione che, in sospeso tra due realtà identitarie, si situa a pieno titolo nell'intersezione tra le due culture (147). A testimonianza di tale processo di assimilazione, nelle conclusioni Carolan riporta le numerose collaborazioni che, negli ultimi anni, hanno coinvolto l'industria cinematografica italiana e cinese.Con il suo Orienting Italy, Carolan consegna quindi al lettore un primo e documentato studio sulle modalità con cui la cinematografia italiana ha contribuito alla conformazione dell'idea di Cina nell'immaginario del Belpaese, aprendo il passo verso nuove e auspicabili prospettive di ricerca.
定向意大利:意大利电影人镜头下的中国
《意大利文化与中国文化的融合》(3)中,玛丽·安·卡罗兰的作品是一项出色的研究——这是第一部此类研究——分析了中国及其文化在意大利电影传统中的不同表现方式。在对这七部作品的回顾中,作者巧妙地考虑了不同导演在描绘中国文化时所采用的美学方法,以及政治意识形态和社会经济环境如何影响电影的制作和发行。从1958年到2011年,搜索范围从纪录片到小说。这些电影有两种类型:一种是描绘中国东部的风景、文化和历史;调查意大利、中国和意大利移民社区之间的跨文化关系和动态的人。第一类包括中国的长城(Carlo rizzani, 1958)、钟国中(米开朗基罗安东尼奥尼,1972)、已故的皇帝(Bernardo Bertolucci, 1987)和不存在的星星(Gianni Amelio, 2006)。第二类是戈尔巴乔夫(斯特凡诺·不确定,2010),我是李(安德里亚·塞格雷,2011)和小中国小姐(里卡多·克雷莫纳和文森佐·德·切科,2009)。这本书的开头一章探讨了意大利在中国土地上的第一部电影。从西伯利亚边境到上海、香港和北京。卡罗兰对这部电影混合主义的强调非常有趣,因为在利扎尼的纪录片中,在导演的小说中,在真实的图像和小说小说之间,对纪录片性别的所谓客观性提出了质疑。从本质上说,作者想知道,除了许多镜头的优美抒情诗之外,里扎尼的风格选择是否有助于对当时的中国景观和居民描绘一幅过于主观的画面(27)。下一章是安东尼奥尼著名的中国语。除了关于费拉里斯纪录片的大量文献外,卡洛兰还对这部电影在中国的灾难性接收发表了尖锐的评论。导演的作者主要利益—包括利益攸关方的个人,而不是它们的功能—集体和故意偏爱的景观与毛派中国技术进步的表现,永世中国建制派的非常消极,认为这部电影被禁止,因为反动和反革命。安东尼奥尼对观众和他所代表的形象之间的心理互动有着众所周知的兴趣,这引起了地方当局的反感,地方当局不仅热衷于建议电影中应该代表什么,而且还热衷于如何描绘现实(58)。在第三章中,卡洛兰看到了安东尼奥尼的美学线条和贝托鲁奇的史诗般的史诗之间的连续性,因为在上一任皇帝中,对个人领域的兴趣也占了主导地位。从这个意义上说的—她阅读Millicent Marcus−,作者指出了电影中的重量psicoanalitica足迹:墨守成规的前几次(1970年)和20世纪(1976年),也在这个工作Bertolucci为了个人是政治层面(67—68)。此外,对女性形象的巧妙分析也很突出。卡罗兰指出,他们在电影中没有决定性的作用。根据作者的说法,皇帝在紫禁城被监禁的表现也显示出类似的不作为:就像女性角色一样,贝托鲁奇的君主是一个被动的角色,不控制任何人,尤其是他自己。第四章的主要观点是不存在的恒星和电影新现实主义之间的密切关系。卡罗罗指出了阿梅里奥的电影中反映这种美学模式的那些方面:时间的流逝让人想起现实生活的缓慢节奏;由许多非专业演员组成的选角;对真实场景的偏爱;在这一点上,卡罗兰从跨文化的角度看到了一个有趣的信号。简而言之,作者在电影中展示了阿梅里奥是如何通过他的新现实主义方法,成功地减轻了过于西方人看待事物的偏心效应(91)。在第五章的两部电影中,女性主角获得了中国和意大利文化维度之间的联系。
本文章由计算机程序翻译,如有差异,请以英文原文为准。
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