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Abstract
ono giunte alla redazione alcune segnalazioni riguardo all’uso crescente di due termini avvertiti dai nostri lettori come neologismi: il sostantivo anagrafatura e il verbo anagrafare, da cui il participio con valore aggettivale anagrafato. Alla base di entrambi c’è il sostantivo anagrafe (dal greco moderno anagraphḗ 'iscrizione, registro' composto di aná 'su' e graphḗ 'scritto, scrittura') per il quale il DELI indica come data di prima attestazione il 1764, con un precedente molto più antico nel 1414, a Venezia, nella forma plurale lanagrafi. Il GRADIT marca anagrafe come termine tecnicospecialistico della burocrazia col signi cato di “registro che riporta il numero e lo stato civile (nascite, decessi, matrimoni) degli abitanti residenti in un comune” ma anche, per estensione, “l’u cio comunale che custodisce tale registro e rilascia i certi cati a esso relativi”. La formazione di anagrafare e anagrafatura a partire dal sostantivo anagrafe non stupisce: il lingua io burocratico, a cui appartengono i nostri termini, è da sempre fortemente so etto alla creazione di nuove parole e tra queste sono molto frequenti i verbi denominali (derivati da sostantivi) in -are e -izzare (ad esempio, disdettare da disdetta, ospedalizzare da ospedale, ecc.). Inoltre -ura è su sso produttivo in italiano, per formare nomi da verbi e, come si le e in Serianni 1989, «già in latino serviva a ricavare deverbali dal participio passato (scrīptum → scriptūra)» come ad esempio tirato (tirare) → tiratura, cotto (cuocere) → cottura. Si può dunque presumere (e le attestazioni che vedremo in seguito sosterrebbero questa ipotesi) che la lingua burocratica abbia prodotto da anagrafe il verbo denominale anagrafare (col participio anagrafato) che a sua volta avrebbe indotto alla formazione del deverbale anagrafatura.