{"title":"Internet o l’improvvisa comparsa del lettore: l’esperienza di Rue89","authors":"Pierre Haski","doi":"10.5771/9783748904977-353","DOIUrl":null,"url":null,"abstract":"Quando gli sviluppi di internet fecero sorgere ciò che venne definito il “web 2.0”, il concetto si diffuse a macchia d’olio senza che tutti sapessero di ciò che stessimo effettivamente parlando. Libération, il giornale presso cui lavoravo all’epoca, a metà degli anni 2000, si affrettò ad autoproclamarsi il “primo sito 2.0” in Francia solo perché consentiva ai propri lettori di pubblicare commenti in fondo agli articoli. In ogni modo, a tali commenti gli autori degli articoli non erano particolarmente interessati, in quanto i testi erano stati scritti per l’edizione cartacea e venivano pubblicati sul sito in automatico nel cuore della notte contemporaneamente alla stampa del giornale e alla sua distribuzione a centinaia di rivenditori in tutta la Francia. Tuttavia, nel 2004, dopo oltre tre decenni da giornalista professionista, mi accadde qualcosa di abbastanza strano: scoprii il lettore. Ovviamente ero a conoscenza dell’esistenza di donne e uomini che acquistavano e leggevano il giornale presso il quale lavoravo, e regolarmente incontravo alcuni di loro. In ogni modo, nel 2004 aprii un blog sul sito di Libération in qualità di corrispondente da Pechino, dove ero stato trasferito quattro anni prima. Fu così che incontrai il corrispondente di Washington Pascal Riché, il quale era stato il primo ad aprire un blog, al tempo ancora una novità nel giornalismo. Prima di ciò nessun giornalista “degno di tale nome” lo aveva fatto: i blog erano i parchi giochi degli adolescenti, che scambiavano musica con i loro amici, o venivano aperti da “amatori”, vale a dire coloro che non possiedono un cartellino stampa. Nel 2004 Libération decise di sperimentare questo nuovo genere, il blog giornalistico, sulla scia dell’esempio di molti pionieri americani. In poche settimane la mia vita da giornalista era completamente cambiata al punto che i miei collegi parigini dovettero ricordarmi che scrivevo “anche” per il giornale “cartaceo” quotidiano, dato che il blog era per me diventata un’ossessione e divorava tutto il mio tempo e la mia forza. Quindi scoprii i miei lettori i quali, non paghi di leggere i miei giornali e basta, si prendevano","PeriodicalId":213869,"journal":{"name":"Il giornalismo sotto attacco","volume":"95 1","pages":"0"},"PeriodicalIF":0.0000,"publicationDate":"1900-01-01","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":"0","resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":null,"PeriodicalName":"Il giornalismo sotto attacco","FirstCategoryId":"1085","ListUrlMain":"https://doi.org/10.5771/9783748904977-353","RegionNum":0,"RegionCategory":null,"ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":null,"EPubDate":"","PubModel":"","JCR":"","JCRName":"","Score":null,"Total":0}
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Abstract
Quando gli sviluppi di internet fecero sorgere ciò che venne definito il “web 2.0”, il concetto si diffuse a macchia d’olio senza che tutti sapessero di ciò che stessimo effettivamente parlando. Libération, il giornale presso cui lavoravo all’epoca, a metà degli anni 2000, si affrettò ad autoproclamarsi il “primo sito 2.0” in Francia solo perché consentiva ai propri lettori di pubblicare commenti in fondo agli articoli. In ogni modo, a tali commenti gli autori degli articoli non erano particolarmente interessati, in quanto i testi erano stati scritti per l’edizione cartacea e venivano pubblicati sul sito in automatico nel cuore della notte contemporaneamente alla stampa del giornale e alla sua distribuzione a centinaia di rivenditori in tutta la Francia. Tuttavia, nel 2004, dopo oltre tre decenni da giornalista professionista, mi accadde qualcosa di abbastanza strano: scoprii il lettore. Ovviamente ero a conoscenza dell’esistenza di donne e uomini che acquistavano e leggevano il giornale presso il quale lavoravo, e regolarmente incontravo alcuni di loro. In ogni modo, nel 2004 aprii un blog sul sito di Libération in qualità di corrispondente da Pechino, dove ero stato trasferito quattro anni prima. Fu così che incontrai il corrispondente di Washington Pascal Riché, il quale era stato il primo ad aprire un blog, al tempo ancora una novità nel giornalismo. Prima di ciò nessun giornalista “degno di tale nome” lo aveva fatto: i blog erano i parchi giochi degli adolescenti, che scambiavano musica con i loro amici, o venivano aperti da “amatori”, vale a dire coloro che non possiedono un cartellino stampa. Nel 2004 Libération decise di sperimentare questo nuovo genere, il blog giornalistico, sulla scia dell’esempio di molti pionieri americani. In poche settimane la mia vita da giornalista era completamente cambiata al punto che i miei collegi parigini dovettero ricordarmi che scrivevo “anche” per il giornale “cartaceo” quotidiano, dato che il blog era per me diventata un’ossessione e divorava tutto il mio tempo e la mia forza. Quindi scoprii i miei lettori i quali, non paghi di leggere i miei giornali e basta, si prendevano