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Se è vero che ci sono spesso degli aspetti positivi che portano i genitori ad operare in questo modo (tra cui essere d’ispirazione o motivazione per gli altri, promuovere l’accettazione sociale della malattia, creare una rete di sostegno, raccogliere fondi) questi criteri sono per lo più dichiarati dai genitori stessi, ma non effettivamente verificati o dimostrati ed anzi in alcuni casi sono stati apertamente smentiti. In ogni caso, ciò che emerge è che l’adulto tende a fornire una propria narrazione e interpretazione della vita con la malattia (o meglio, della propria relazione di cura), narrazione su cui il bambino non ha alcuna voce né controllo. Questa narrazione, oltre a ledere apertamente la privacy del minore, crea un legame indissolubile tra il bambino e la sua condizione, facendo sì che la sua identità sia resa inscindibile dalla malattia ed impedendo che, in futuro, egli possa avere un’identità libera dalla malattia stessa. Sul presupposto che il diritto alla salute del minore ha un contenuto più ampio di quello di un adulto e comprende anche, e necessariamente, le prospettive future, i criteri classici dell’analisi etica possono non essere esaustivi. In questo elaborato cercherò di applicare il principio teorizzato da Joel Feinberg sul diritto del bambino ad un “futuro aperto” (“right to an open future”) come criterio per individuare i limiti di ciò che è eticamente accettabile condividere online. 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摘要
社交媒体上分享的现象,父母、子女的生活的方方面面,已经和普遍,以致具体一个术语,它是一个新词,源于crasi时限“股”(分享)和“养育”(父母):sharenting。这一贡献集中于那些疾病或残疾儿童的生活是普遍和持续分享的情况。诚然,我们往往是一些积极的方面,导致父母以这种方式运作(包括其他灵感和动力,促进疾病的社会接受,建立一个网络的支持,筹集资金)这些大多是由父母自己申报标准,相反,实际发生或没有表现出和在某些情况下,这些错误被公开。然而,所揭示的是,成年人倾向于提供他们自己的故事和解释与疾病有关的生活(或者更确切地说,是他们的治疗关系),这是一个孩子没有发言权和控制的故事。这种叙述不仅公然侵犯了儿童的隐私,而且在儿童和儿童的状况之间建立了一种不可分割的联系,使儿童的身份与疾病不可分割,并防止儿童在未来获得一种没有疾病的身份。由于儿童健康权的内容比成人更广泛,而且必然包括未来的前景,传统的伦理分析标准可能并不详尽。在这篇论文中,我将尝试运用乔尔·范伯格(Joel Feinberg)关于孩子享有“开放未来”(right to open future)的理论原则,作为确定在线分享在道德上可以接受的界限的标准。这项研究的目的不是妖魔化技术,当然也不是阻止或限制技术,而是帮助促进负责任地使用技术,从不忽视保护最脆弱群体的基本需要。
Minori e disabilità nell’era dello sharenting. Il “diritto ad un futuro aperto” come criterio per una valutazione etica
Il fenomeno della condivisione sui social media, da parte dei genitori, di ogni aspetto della vita dei propri figli, è ormai talmente comune e diffuso che per esso è stato coniato un termine specifico, un neologismo che deriva dalla crasi dei termini “share” (condividere) e “parenting” (genitorialità): lo sharenting. Il presente contributo si concentra sui casi in cui ad essere condivisa, in maniera costante e massiva, è la vita di un bambino con malattia o con disabilità. Se è vero che ci sono spesso degli aspetti positivi che portano i genitori ad operare in questo modo (tra cui essere d’ispirazione o motivazione per gli altri, promuovere l’accettazione sociale della malattia, creare una rete di sostegno, raccogliere fondi) questi criteri sono per lo più dichiarati dai genitori stessi, ma non effettivamente verificati o dimostrati ed anzi in alcuni casi sono stati apertamente smentiti. In ogni caso, ciò che emerge è che l’adulto tende a fornire una propria narrazione e interpretazione della vita con la malattia (o meglio, della propria relazione di cura), narrazione su cui il bambino non ha alcuna voce né controllo. Questa narrazione, oltre a ledere apertamente la privacy del minore, crea un legame indissolubile tra il bambino e la sua condizione, facendo sì che la sua identità sia resa inscindibile dalla malattia ed impedendo che, in futuro, egli possa avere un’identità libera dalla malattia stessa. Sul presupposto che il diritto alla salute del minore ha un contenuto più ampio di quello di un adulto e comprende anche, e necessariamente, le prospettive future, i criteri classici dell’analisi etica possono non essere esaustivi. In questo elaborato cercherò di applicare il principio teorizzato da Joel Feinberg sul diritto del bambino ad un “futuro aperto” (“right to an open future”) come criterio per individuare i limiti di ciò che è eticamente accettabile condividere online. Lo studio non intende in alcun modo demonizzare le tecnologie, né ovviamente impedirle o limitarle, bensì contribuire a promuoverne un uso responsabile e mai cieco alla fondamentale esigenza di tutela dei soggetti più vulnerabili.