Michele Guerra, Jennifer Malvezzi, A. Mariani, Sara Martín, P. Noto, Giulio Tosi
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La critica cinematografica, al netto delle preziose e pur necessarie visioni d’insieme che hanno visto singoli studiosi ricostruire le linee del dibattito e la geografia delle riviste, ha bisogno di un lavoro di spoglio e di scavo che è impensabile condurre in solitaria. Soprattutto, ha bisogno di una duttilità metodologica che deve di volta in volta misurarsi con le fonti (i periodici nelle loro diverse anime, dal pezzo più impegnato alla corrispondenza coi lettori), con l’archivio (pubblico e in non pochi casi più delicatamente privato), con le politiche e i poteri editoriali, con le figure di critico che hanno saputo irradiare un sistema di influenze capace di costruire discorsi estremamente solidi e duraturi, con le testimonianze orali oggi sempre più preziose per ricucire passaggi a lungo trascurati. Al contempo, mutano gli strumenti della comunicazione scientifica. 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Per una storia privata della critica cinematografica italiana
Michele Guerra: Negli ultimi anni la ricerca in ambito umanistico ha conosciuto in Italia un notevole incremento del lavoro di squadra. Sono nati sempre più gruppi di ricerca che hanno saputo collegare meglio gli atenei e promuovere un proficuo e meno problematico rapporto intergenerazionale. Se fino a un decennio fa era ancora tutto sommato abbastanza raro, nei nostri settori, assistere ad articoli o a volumi a più mani, ora vi sono ambiti di ricerca che non sono più considerati affrontabili se non attraverso il confronto e la modularità del lavoro in team. Il nostro progetto credo rappresenti molto bene uno dei temi rispetto ai quali il lavoro di gruppo si è rivelato decisivo. La critica cinematografica, al netto delle preziose e pur necessarie visioni d’insieme che hanno visto singoli studiosi ricostruire le linee del dibattito e la geografia delle riviste, ha bisogno di un lavoro di spoglio e di scavo che è impensabile condurre in solitaria. Soprattutto, ha bisogno di una duttilità metodologica che deve di volta in volta misurarsi con le fonti (i periodici nelle loro diverse anime, dal pezzo più impegnato alla corrispondenza coi lettori), con l’archivio (pubblico e in non pochi casi più delicatamente privato), con le politiche e i poteri editoriali, con le figure di critico che hanno saputo irradiare un sistema di influenze capace di costruire discorsi estremamente solidi e duraturi, con le testimonianze orali oggi sempre più preziose per ricucire passaggi a lungo trascurati. Al contempo, mutano gli strumenti della comunicazione scientifica. Restano evidentemente valide le forme classiche della pubblicazione dei risultati della ricerca, ma sempre più si sente il bisogno di sistematizzare, di mappare, di ordinare questi risultati con l’aiuto dei dispositivi digitali che schiudono nuove frontiere di ricerca e presuppongono nuove tipologie di studioso, per cui anche le Humanities si avviano a riconoscere l’importanza di figure versate nell’elaborazione di dati che fino ad oggi sembravano rilevanti solo per gli ambiti delle scienze esatte, o per quelli economici e sociologici. Nel nostro caso, infine, anche la videoripresa si rivela uno strumento di enorme utilità, che ci consente di rendere pubbliche diverse interviste e di pensare addirittura a forme videosaggistiche di disseminazione della nostra ricerca; uno strumento che etnologi, antropologi e sociologi utilizzano da molti anni e che negli studi sul cinema è meno impiegato di quanto meriterebbe. A mio modo di vedere se la storiografia sul cinema in Italia ha