{"title":"Roberto Rossi Precerutti的诗篇:卡拉瓦乔事件的结构和可逆性(2016)","authors":"Davide Belgradi","doi":"10.1080/00751634.2023.2245220","DOIUrl":null,"url":null,"abstract":"ABSTRACTL’articolo analizza le prose poetiche della raccolta Fatti di Caravaggio di Roberto Rossi Precerutti, inserendole da subito all’interno del contesto novecentesco e in continuità con le riflessioni sulla poesia in prosa come genere. Le prose della raccolta sono analizzate su più livelli: metrico, sintattico, linguistico e contenutistico. Ciò che i testi evidenziano, inoltre, è un complesso – ma non inedito, per l’autore – legame tra la prosa poetica e le opere pittoriche, in questo caso caravaggesche. Tale connessione fa emergere non soltanto un io lirico instabile e non univoco, che tende a istituire tre diversi modelli di soggettività, ma anche una riflessione che il poeta fa a partire dalla questione della reversibilità dello sguardo. Infatti, il rapporto tra i testi e l’opera di Caravaggio non rientra all’interno delle tecniche dell’èkphrasis: si tratta di opere che fanno emergere la presenza di uno sguardo senza osservatore; uno sguardo che fa del lettore uno spettatore, e dello scrittore un osservatore che è – allo stesso tempo – osservato.KEYWORDS: Rossi Preceruttiprose poeticheCaravaggiosguardoreversibilità Disclosure StatementNo potential conflict of interest was reported by the author(s).Notes1 L’esordio è con Entrebescar (Forlì: Forum Quinta Generazione, 1982). Per la generazione di poeti esordienti negli anni Ottanta, si fa riferimento alla recente proposta d’indagine curata da Sabrina Stroppa, la cui antologia ospita, nel secondo volume, anche il primo contributo scientifico dedicato a Rossi Precerutti. Si veda Davide Belgradi, ‘“Struttura di separazione” Roberto Rossi Precerutti da Entrebescar a Falso paesaggio (1982–1984)’, in La poesia italiana degli anni Ottanta: esordi e conferme, a cura di Sabrina Stroppa, 4 vol. (Lecce: Pensa MultiMedia, 2017), II, pp. 57–84.2 La raccolta di Rossi Precerutti che abbia ricevuto maggior riconoscimento è Rovine del cielo, insignita nel 2005 del Premio Mondello e nel 2009 del Premio ‘Val di Comino’. L’autore è anche finalista del Premio Viareggio per ben quattro edizioni differenti (2015, Rimarrà El Greco; 2016, Fatti di Caravaggio; 2019, Un impavido sonno; 2020, Verità irraggiungibile di Caravaggio). Un impavido sonno è anche insignito, nel 2021, del Premio ‘Il Meleto di Guido Gozzano’. Il suo periodo di più intensa collaborazione con Crocetti è quello che va tra il 1990 e il 2015, durante il quale — tra recensioni, interventi critici e traduzioni — Rossi Precerutti pubblica 61 contributi in rivista.3 Guardando soltanto alle pubblicazioni, senza tener conto delle vicendevoli prefazioni e postfazioni: Giorgio Luzzi, Coblas (Torino: L’Arzanà, 1980); Giorgio Luzzi, Luce e altri tatti (Torino: L’Arzanà, 1981); Giorgio Luzzi, Piccola serie inglese (Torino: L’Arzanà, 1983); Giorgio Luzzi, Le mura di Glorenza (Torino: L’Arzanà, 1984); Giorgio Luzzi, Geldwesen (Torino: L’Arzanà, 1987); Giorgio Luzzi, Epilogo occitano (Torino: L’Arzanà, 1990); Camillo Pennati, Un gioioso disporsi (Torino: L’Arzanà, 1980); Camillo Pennati, L’iridato paesaggio (Torino: L’Arzanà, 1985); Camillo Pennati, Così levigati relitti (Torino: L’Arzanà, 1987); Cesare Greppi, Corona (Torino: L’Arzanà, 1995); Sandro Sinigaglia, Breve anamnesi (Torino, L’Arzanà, 1991); Andrea Zanzotto, Poesie (1938–1986) (Torino: L’Arzanà, 1987).4 Cf. Belgradi, ‘“Struttura di separazione”’: la questione dell’esordio e degli influssi culturali dell’autore è tema centrale del saggio, a cui si rimanda anche per la concezione di una poesia d’esordio da intendersi come una ‘struttura di separazione’. L’anno d’esordio, il 1982, non è irrilevante essendo lo stesso anno di Patrizia Valduga, Medicamenta (Parma: Guanda, 1982). Cf. anche Sabrina Stroppa, ‘L’esordio di Patrizia Valduga: Medicamenta (1982)’, in La poesia italiana degli anni Ottanta, pp. 35–60.5 Sull’obscuritas di Rossi Precerutti è stato recentemente pubblicato un articolo che parte proprio dall’opera d’esordio, valutandone tra gli altri aspetti la ricezione della poesia dei trovatori. Le analisi delle caratteristiche ric svolte in questo studio possono aprire il discorso sulla ‘difficoltà’ della versificazione dell’autore, ma non sono chiaramente esaustive perché non ne contemplano lo sviluppo delle opere successive; cf. Davide Belgradi, ‘“e ancora”: l’eredità dei trovatori in Entrebescar di Roberto Rossi Precerutti (1982)’, Per Leggere, 21.41 (2021), 136–55.6 La produzione di sestine liriche di Rossi Precerutti è estremamente rilevante, quantitativamente e qualitativamente. Una prima discussione di questo aspetto è presente, in un paragrafo dedicato all’autore, negli atti di un convegno sulla sestina lirica; cf. Sabrina Stroppa and Davide Belgradi, ‘Microromanzi e microcosmi. La forma sestina nella poesia italiana degli anni Ottanta’, in Contrainte créatrice. La fortune littéraire de la sextine dans le temps et dans l’espace, ed. by Luca Barbieri and Marion Uhlig (Firenze: SISMEL–Edizioni del Galluzzo, 2023), pp. 87–110.7 Roberto Rossi Precerutti, Stella del perdono (Torino: L’Arzanà–Ed. Angolo Manzoni, 2002), pp. 7–9.8 Roberto Rossi Precerutti, Elogi di un disperso mattino (Milano: Crocetti, 2003), pp. 67–71; Rovine del cielo (Milano: Crocetti, 2005), pp. 9–18, 59–64, 107–18; Spose celesti (Milano: Viennepierre, 2006), pp. 105–10; La legge delle nubi (Milano: Crocetti, 2012), pp. 13–57, 95–98, 135–57; Rimarrà El Greco (Milano: Crocetti, 2015), pp. 13–19, 21–24, 27–28, 36–37, 44, 47–56; Vinse molta bellezza (Torino: Neos Edizioni, 2015), pp. 53–70; Fatti di Caravaggio (Torino: Aragno, 2016), pp. 7–9, 11–13, 15–18, 20, 22–24, 26–28, 30, 33–36, 38–42, 44, 46–48, 50–52, 58–59, 61–63, 67–69, 71–76, 78, 81; Domenica delle fiamme (Torino: Aragno, 2016), pp. 19–38, 87–106; Un sogno di Borromini (Alessandria: Puntoacapo, 2018), pp. 7–8, 15–24, 31–37, 39–43, 50; Un impavido sonno (Torino: Aragno), pp. 9–26; Verità irraggiungibile di Caravaggio (Torino: Neos Edizioni, 2020), pp. 5–11, 18–19, 26–28, 32–33, 50–59; Il sogno del cavaliere (Torino: Neos Edizioni, 2021), pp. 8, 16–18, 38–40; Genio dell’infanzia cattolica (Torino: Aragno, 2021), pp. 91–104, 110–111, 113–114, 120–121; Lo sgomento della grazia (Torino: Neos Edizioni, 2023), pp. 7–34.9 Claudia Crocco, La poesia in prosa in Italia: dal Novecento a oggi (Roma: Carocci, 2021). Da rilevare, però, l’assenza dal volume di Crocco delle prose di Rossi Precerutti, che non viene mai menzionato.10 Crocco, La poesia in prosa in Italia, p. 47. Il termine voicing è usato da Crocco nel senso individuato da Jonathan Culler, Theory of the Lyric (Cambridge–London: Harvard University Press, 2015), pp. 34–38.11 Crocco, prendendo come casi studio Boine, Jahier, Rebora, Campana e Sbarbaro, individua diverse forme dell’autobiografia e distingue almeno tre tipologie di fenomeni: scissione del soggetto, svalutazione/mitizzazione del soggetto, e autoriflessività (Crocco, La poesia in prosa in Italia, pp. 61–75). Per l’autobiografia, cf. almeno Maria Anna Mariani, Sull’autobiografia contemporanea: Nathalie Serraute, Elias Canetti, Alice Munro, Primo Levi (Roma: Carocci, 2012), p. 12; Guido Mazzoni, Sulla poesia moderna (Bologna: Il Mulino, 2005), pp.107–19.12 Per le varie caratteristiche, si rinvia a Crocco, La poesia in prosa in Italia, pp. 103, 115, 126–27.13 Paolo Gambazzi, L’occhio e il suo inconscio (Milano: Cortina, 1999), p. 188. La prospettiva qui adottata non è quella che rimanda, strettamente, ai visual studies, per quanto sarebbe stato possibile e interessante procedere anche in tal senso. Il concetto di sguardo è indagato in una direttrice che incrocia soprattutto, in senso filosofico e psicanalitico, le posizioni di Jean-Paul Sartre, Jacques Lacan e Maurice Merleau-Ponty. Tale concetto è sintetizzato bene anche da Michele Cometa, Cultura visuale (Milano: Raffaello Cortina, 2020), pp. 40–45. Sulle interazioni tra visual studies e prospettive strettamente filosofiche trovo interessanti gli spunti di Simone Furlani, L’immagine e la scrittura: le logiche del vedere tra segno e riflessione (Milano: Mimesis, 2016). Per quanto riguarda i visual studies, è indispensabile fare menzione almeno dei contributi di W. J. Thomas Mitchell, Iconology: Image, Text, Ideology (Chicago: The University of Chicago Press, 1986); W. J. Thomas Mitchell, Picture Theory (Chicago: The University of Chicago Press, 1994); W. J. Thomas Mitchell, Image Science: Iconology, Visual Culture and Media Aesthetics (Chicago: The University of Chicago Press, 2015).14 Talvolta, come in liii, la prosa termina con un testo in versi, posto in chiusura. Le poesie rimanenti hanno diversi metri: 2 sestine liriche (xlvi, lxx), 2 madrigali (lvi, lvii), 18 sonetti (iv, viii, xiii, xv, xix, xxiii, xxv, xxvi, xxxi, xxxvii, xxxix, xlii, xlvii, xlviii, xlix, lii, lv, lxviii), e una sequenza di quartine di ottonari senza rime fisse (lxi). Si dica ancora che il madrigale è in realtà in una versione rara, presentando al posto delle due canoniche terzine concluse da un distico baciato, due quartine con schema ABBA–ABBA. I sonetti xxvi e xlvii, infine, sono varianti del sonetto, non essendo endecasillabici. Sono due sonetti minori, in settenari il primo (il v. 14 è endecasillabico) e in novenari il secondo.15 Ironica e calzante la lettura di Marzo Pieri che, in uno scritto apparso postumo in Verità irraggiungibile di Caravaggio (p. 92), scrive: ‘Va da sé che qui pittura e verbo non s’incontrano sul sentiero, che sarebbe ovvio, dell’èkphrasis. […] Ironia del discorso, avendo appena elusa, quando non anzi vietata, una funzione ecfrastica dei poemi di Rossi Precerutti, mi accade di augurarmi una ristampa di queste poesie “dall’arte”, fornita di puntuali immagini a fronte. Verifica di assenza’. Il dispositivo dell’èkphrasis, invece, che meriterebbe tutt’altro tipo di approfondimento e le cui indagini sarebbero insoddisfacenti se applicate ai testi di Rossi Precerutti, sarebbe rilevante a partire dalla prospettiva dei visual studies. La bibliografia sarebbe ampia, ma segnalo almeno alcuni contributi di Mitchell, Krieger e Cometa: Mitchell, Picture Theory, pp. 151–82; Murray Krieger, Ekphrasis: The Illusion of the Natural Sign (Baltimore–London: Johns Hopkins University Press, 1992); Murray Krieger, ‘The Problem of Ekphrasis: Image and Word, Space and Time — and Literary Work’, in Pictures into Words: Theoretical and Descriptive Approaches to Ekphrasis, ed. by Valerie Robilland and Else Jongeneel (Amsterdam: VU University Press, 1998), pp. 3–20; Michele Cometa, La scrittura delle immagini: letteratura e cultura visuale (Milano: Raffaello Cortina, 2012), pp. 11–166.16 Marilina Ciaco, ‘Poesia contemporanea e cultura visuale: pratiche visuali, sguardo e dispositivi nella poesia italiana recente’, LEA: Lingue e letterature d’Oriente e d’Occidente, 8 (2019), 339–51 (p. 341). Sulle varie forme dell’iconismo in poesia si rimanda, tra gli altri, a Luigi Ballerini, La piramide capovolta: scritture visuali e d’avanguardia (Venezia: Marsilio, 1975); Giovanni Pozzi, La parola dipinta (Milano: Adelphi, 1981); Jean-Marie Gleize, Poésie et figuration (Paris: Seuil, 1983). Per un affondo, invece, negli studi di cultura visuale, il rimando è ancora a Mitchell, Picture Theory.17 Differisce la prosa xli, che oltre ad essere molto lunga rispetto alla media della raccolta è anche composta da tre diverse sequenze separate da degli a capo, gli unici tra le prose poetiche del libro.18 Si elude, in tal senso, un principio che, relativamente alla pratica dell’èkphrasis, è individuato da Cometa, La scrittura delle immagini, p. 288: si tratta di immergersi nella ‘questione cruciale del rapporto agonale tra visibile e dicibile’. Cf. anche Cometa, La scrittura delle immagini, p. 290: ‘Nello spazio intermedio tra visibile e dicibile è possibile abitare, purché si sappia che il fondamento di quello che si dice è altrove e può emergere per contrasto solo sullo sfondo di ciò che si vede, mentre il fondamento di quello che si vede riluce tra le trame di ciò che si dice’.19 Crocco, La poesia in prosa in Italia, pp. 103 (da cui si cita), 149, 216.20 Crocco, La poesia in prosa in Italia, p. 42.21 Emblematica in tal senso la conclusione dell’intervista che l’autore rilascia a Sabrina Stroppa, quando parlando della prassi poetica afferma che ‘è l’unico modo che io conosca di abitare la morte, cioè di dare un senso alla nostra finitudine’ (Sabrina Stroppa, ‘I colori del buio: Sabrina Stroppa a colloquio con Roberto Rossi Precerutti’, Insula europea ‹https://www.insulaeuropea.eu/2022/01/10/i-colori-del-buio-sabrina-stroppa-a-colloquio-con-roberto-rossi-precerutti/› [consultato il 13 giugno 2022]).22 Da sempre al centro della raffigurazione poetica autoriale, così come denuncia emblematicamente un libro giovanile come Falso paesaggio (Torino: Books&Video, 1984). Cf. anche la descrizione della raccolta in Belgradi, ‘“Struttura di separazione”’.23 Anche in questo caso la scelta di Rossi Precerutti non sembra allineata con le tendenze più recenti: cf. Crocco, La poesia in prosa in Italia, pp. 222–24.24 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 24.25 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 16. La prosa non è dedicata a un’opera.26 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, pp. 38, 39, 52. Anche per questi casi non si parla di ‘novenario’, dal momento che le sedi proprie del verso non vengono rispettate.27 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 58.28 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, pp. 28, 34.29 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 11.30 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, pp. 8, 18, 28.31 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 9.32 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 13.33 Crocco, La poesia in prosa in Italia, p. 82.34 Crocco, La poesia in prosa in Italia, p. 83.35 Crocco, La poesia in prosa in Italia, pp. 61–82.36 Entrambe le citazioni da Crocco, La poesia in prosa in Italia, p. 75.37 Crocco, La poesia in prosa in Italia, pp. 61, 68–72.38 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 35.39 La categoria di ‘autore reale’ sembra opportuna, ma è ovviamente discussa e discutibile. Senza voler declinare il discorso in un eccessivo approfondimento in senso narratologico, ciò che mi preme è registrare l’oscillazione di questi diversi soggetti che dicono ‘io’ facendo notare come, almeno in un caso, sembri avvenire una compromissione/sconfinamento tra l’io lirico e l’autorappresentazione dell’‘autore reale’ che scrivendo si mette in scena. I più opportuni riferimenti teorici per la recente rivalutazione della figura dell’autore (per quanto riguarda la teoria del romanzo) mi sembrano quelli di Stefano Ballerio, Sul conto dell’autore: narrazione, scrittura e idee di romanzo (Milano: Franco Angeli, 2013); Filippo Pennacchio, Eccessi d’autore: retoriche della voce nel romanzo italiano di oggi (Milano: Mimesis, 2020), in part. pp. 161–203. Similmente a quanto sostiene Pennacchio, anche Paolo Giovannetti, in Spettatori del romanzo: saggi per una narratologia del lettore (Milano: Ledizioni, 2015), p. 14, sottolinea come oggi si assista a una ‘riscossa dell’autore, a un suo ritorno, anzi al suo dilagare, alla sua rivincita sopra il narratore’.40 Cf. Filippo Milani, Il pittore come personaggio: itinerari nella narrativa italiana contemporanea (Roma: Carocci, 2020).41 In primis lo studio di Roberto Longhi, Caravaggio (Milano: Martello Editore, 1952). L’importanza del lavoro di Longhi è sottolineata anche da Marzo Pieri nello scritto che chiude Roberto Rossi Precerutti, Verità irraggiungibile di Caravaggio, pp. 87–89. D’altronde, un rinnovato impulso allo studio di Caravaggio è stato dato proprio da Longhi in occasione della mostra di Milano del 1951: Roberto Longhi, Mostra di Caravaggio e dei caravaggeschi, catalogo della mostra di Milano, Palazzo Reale, aprile–giugno 1951 (Firenze: Sansoni, 1951); intorno a quegli anni si vedano anche Bernard Berenson, Del Caravaggio, delle sue incongruenze e della sua fama, trad. italiana di Luisa Vertova (Firenze: Electa, 1950); Costantino Baroni, Tutta la pittura del Caravaggio (Milano: Rizzoli, 1951).42 Francesco Zucconi, Displacing Caravaggio: Art, Media, and Humanitarian Visual Culture (London: Palgrave Macmillan, 2018), p. 8. La riflessione di Zucconi, a cui rimando, continua chiedendosi come vada accolta questa ripresa (talvolta) decontestualizzata, invitando — in maniera che reputo particolarmente condivisibile — a non incorrere in risposte semplicistiche con un’opposizione di tipo binario, ma di considerare in profondità i contesti e i casi. Per un’indagine su Caravaggio a partire anche dagli strumenti della narratologia, si veda Mieke Bal, Quoting Caravaggio (Chicago: The University of Chicago Press, 2015).43 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 18. Sul tema che qui emerge dell’ottica in Caravaggio, si vedano almeno Roberta Lapucci, Caravaggio e l’ottica (Firenze: Restart, 2005); Sybille Ebert-Shifferer e altri, Lumen, imago, pictura: la luce nella storia dell’ottica e nella rappresentazione visiva da Giotto a Caravaggio, Atti del Convegno di Roma del 12–13 aprile 2010 (Roma: De Luca, 2018); Filippo Milani, ‘Vedere, non vedere: Alessandro Leogrande e lo sguardo di Caravaggio’, Scritture migranti, 12 (2018), 191–216.44 Crocco, La poesia in prosa in Italia, p. 68.45 Francesco Zucconi, ‘Davanti all’immagine del dolore degli altri: Caravaggio, Sontag, Leogrande’, Finzioni, 1 (2021), 106–17 (p. 115): ‘quella proposta nel Martirio di san Matteo non è soltanto un’immagine di sè “davanti al dolore degli altri” ma anche e al contempo — trasformando la celebre formula di Sontag — un’immagine di sè “davanti all’immagine del dolore degli altri”. Da un lato, con il suo sguardo, Caravaggio ci invita a osservare l’evento reale e suggerisce un atteggiamento emotivo da assumere davanti al gesto violento. Dall’altro, con il suo posizionamento spaziale e con la sua postura, ci spinge a osservare la composizione dell’intera scena “da lontano” o meglio “da fuori”: come se si trattasse di un quadro, come se fosse un’immagine’. Il riferimento di Zucconi è a Susan Sontag, Davanti al dolore degli altri (Milano: Mondadori, 2006).46 Sto attualmente studiando questo aspetto in alcuni testi di Entrebescar (1982) che evocano direttamente l’orizzonte gnostico-càtaro, in continuità — appunto — con alcune delle formulazioni di Emil Cioran, L’inconveniente di essere nati (Milano: Adelphi, 1991). Il pensiero gnostico-càtaro ha una matrice duale, e tende quindi a dividere ciò che è corporeo/materiale da ciò che è spirituale/immateriale, demonizzando tutto ciò che rientra nel primo gruppo. Si tratta di un’eresia che dilaga intorno al XIII secolo e che contesta l’autorità della Chiesa a partire da una concezione del mondo come il teatro di un conflitto dualistico tra Satana (materialità) e Dio (spiritualità). Non è possibile sviluppare ulteriormente le tracce di questa matrice filosofica, che però credo sia utile segnalare perché è sotterranea dal primo all’ultimo libro dell’autore. Per la ricostruzione dell’eresia càtara si vedano, tra gli altri, i due volumi a cura di Jean Duvernoy, Le Catharisme: la religion des cathares (Toulouse: Privat, 1976); Jean Duvernoy, Le Catharisme: l’histoire des cathares (Toulouse: Privat, 1979).47 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 68.48 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 47.49 A proposito di alcune influenze tra letteratura e arte pittorica, cf. Marco Antonio Bazzocchi, ‘Piero, Longhi, gli scrittori e il cinema: riflessi di un mito dalle immagini alle parole’, in Piero della Francesca: indagine su un mito, a cura di Antonio Paolucci (Milano: Silvana, 2016), pp. 367–78; Marco Antonio Bazzocchi, Con gli occhi di Artemisia (Bologna: il Mulino, 2021), in part. pp. 71–99, 135–58. Come si è visto, questa intersezione tra opera poetica e opera pittorica crea anche l’occasione per esaminare l’oscillazione nel soggetto che dice ‘io’. Oltre agli studi di Stefano Ballerio e Filippo Pennacchio, trovo opportuno ricollegarsi a quanto detto, parlando di ‘crisi’ del soggetto poetico, anche in senso di proliferazione polifonica, da Paolo Giovannetti, Modi della poesia italiana contemporanea: forme e tecniche dal 1950 a oggi (Roma: Carocci, 2005), p. 41, che parla di un ‘indebolimento strutturale dell’istanza enunciativa che fonda il discorso poetico’. Non è il punto dell’articolo descrivere precisamente tale oscillazione: vista la carenza di studi sulle opere di Rossi Precerutti si vorrebbe semmai registrare il fenomeno per poterlo meglio chiarire in futuro, e mi limito ad aggiungere infine che, in altra maniera, sembrano calzanti le parole di Enrico Testa, Per interposta persona: lingua e poesia nel secondo Novecento (Roma: Bulzoni, 1999), p. 20, che parla di una ’deflagrazione del soggetto’, o ancora di Maria Antonietta Grignani, La costanza della ragione: soggetto, oggetto e testualità nella poesia italiana del Novecento (Novara: Interlinea, 2002), p. 89, che parla della presenza nella poesia contemporanea di una ‘polifonia [e di un] conflitto di voci delegate per tradizione al romanzo’.50 Gambazzi, L’occhio e il suo inconscio, p. 211.51 Raoul Kirchmayr, Merleau-Ponty: una sintesi (Milano: Marinotti, 2008), p. 239. Il riferimento dello studioso è a quanto affermato dal filosofo francese in Maurice Merleau-Ponty, L’occhio e lo spirito (Milano: SE, 1989).52 Jacques Lacan, Il seminario XI: i quattro concetti fondamentali della psicanalisi (1964) (Torino: Einaudi, 2003), p. 108. Tale prospettiva non è stata sviluppata perché avrebbe cambiato il tipo di studio, ma sarebbe probabilmente interessante insistere ulteriormente sull’ipotesi di una scrittura dello sguardo in senso lacaniano, tentando di rileggere le prose di Rossi Precerutti alla luce delle considerazioni che Lacan fa a proposito della schisi tra occhio e sguardo e del rapporto dell’osservatore con il quadro (ibid., pp. 67–117). La questione andrebbe interrogata, a ritroso, anche guardando ciò che Sartre, peraltro discusso anche da Lacan (ibid., pp. 78–89), afferma a proposito della reversibilità dello sguardo: Jean-Paul Sartre, L’essere e il nulla (Milano: Il Saggiatore, 1965), p. 326. L’incursione, molto specifica e complessa, rimane in questa sede un semplice suggerimento per approfondimenti futuri.53 Kirchmayr, Merleau-Ponty: una sintesi, p. 239.54 È infatti fitto il dialogo dell’ultimo Merleau-Ponty, che nel 1960 scrive proprio L’Œil et l’Esprit, e il Lacan dell’undicesimo seminario (che raccoglie interventi del 1964). In questi anni, soprattutto per l’idea di uno sguardo ‘catturato’ dal quadro e rovesciato sull’osservatore, i due pensatori sono molto vicini. Si veda Maurice Merleau-Ponty, L’occhio e lo spirito (Milano: SE, 1989).55 Il riferimento è a Tommaso Pincio, Il dono di saper vivere (Torino: Einaudi, 2018), studiato da Matteo Martelli, ‘In ritratto: Haenel e Pincio, tra èkphrasis e effrazione’, Finzioni, 1.1 (2021), 70–87. Per un approfondimento tra l’opera di Pincio e le arti figurative, si veda almeno Filippo Milani, Il pittore come personaggio (Roma: Carocci, 2020), pp. 129–41.56 Martelli, ‘In ritratto’, p. 77.57 Sull’interessante prospettiva di Pincio e sul tipo di èkphrasis, si veda ancora Martelli, ‘In ritratto’, p. 83: ‘L’èkphrasis si declinerebbe allora come scrittura che rende conto non tanto di una descrizione quanto del luogo del suo provenire, del contatto con le immagini, con una materia che ci sta di fronte’.58 Gambazzi, L’occhio e il suo inconscio, p. 211.59 Sono rare ma non sono assenti vere e proprie prose, che solitamente si innestano su ricordi biografici e andrebbero considerate come un caso a parte rispetto ai testi di cui si è parlato in quest’occasione. Si veda ad esempio la prosa ‘La Torre’, in La legge delle nubi (p. 141), al cui centro c’è un problematico ma intensissimo ricordo legato al rapporto con il padre (cito solo i primi passaggi): ‘Non fu mai perdonato. Subito dopo la guerra, mio padre aveva abbandonato l’esercito, composto ormai, a suo dire, da ufficiali e soldati alle cui divise sembrava rimaner attaccato il lezzo di risciacquature e di stenti del peggior neorealismo. In mezzo alla degradata promiscuità dei tempi, scoprì di non saper fare nulla […]’.60 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 44. Per la figura di Narciso, si veda anche tutto il capitolo in Bal, Quoting Caravaggio, pp. 231–61, in part. pp. 239–46.61 Per le questioni di identità e alterità il riferimento è Jacques Lacan, ‘Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’io’, in Scritti (Torino: Einaudi, 1974), pp. 87–94. Chiaramente, per comprendere le posizioni di Lacan è importante ripartire da Sigmund Freud, ‘Introduzione al narcisismo’, in Opere. Volume settimo: 1912–1914 (Torino: Bollati Boringhieri, 1975), pp. 439–72.62 Jacques Lacan, Il seminario X: l’angoscia (1962–1963) (Torino: Einaudi, 2007), p. 242. Anche in questo caso, non è possibile sviluppare questa lettura che credo, però, potrebbe essere produttiva. Penso che le prose, più che altri componimenti, permetterebbero di sviluppare quello che qui è stato definito un ‘tricoismo dell’io’, anche con gli strumenti specifici della critica filosofico-psicanalitica e alla luce di una contestazione di un’idea di cogito in senso cartesiano. Cf. anche l’analisi di Bal, Quoting Caravaggio, p. 235: ‘The mirror stage is crucial to the formation of the subject because it provides the sensational body of confused sense perceptions with an existence in space. […] In other words, fictive as it is, the mirror image is also, at the same time, the reality that anchors the organism in space’.63 Alle già citate ricostruzioni storiche di Jean Duvernoy, si possono menzionare ancora alcuni studi a cura di Francesco Zambon: La cena segreta: trattati e rituali catari (Milano: Adelphi, 1997); I trovatori e la crociata contro gli albigesi (Milano: Luni, 1999).","PeriodicalId":44221,"journal":{"name":"Italian Studies","volume":"116 1","pages":"0"},"PeriodicalIF":0.3000,"publicationDate":"2023-10-09","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":"0","resultStr":"{\"title\":\"Le prose poetiche di Roberto Rossi Precerutti: strutture e reversibilità dello sguardo nei <i>Fatti di Caravaggio</i> (2016)\",\"authors\":\"Davide Belgradi\",\"doi\":\"10.1080/00751634.2023.2245220\",\"DOIUrl\":null,\"url\":null,\"abstract\":\"ABSTRACTL’articolo analizza le prose poetiche della raccolta Fatti di Caravaggio di Roberto Rossi Precerutti, inserendole da subito all’interno del contesto novecentesco e in continuità con le riflessioni sulla poesia in prosa come genere. Le prose della raccolta sono analizzate su più livelli: metrico, sintattico, linguistico e contenutistico. Ciò che i testi evidenziano, inoltre, è un complesso – ma non inedito, per l’autore – legame tra la prosa poetica e le opere pittoriche, in questo caso caravaggesche. Tale connessione fa emergere non soltanto un io lirico instabile e non univoco, che tende a istituire tre diversi modelli di soggettività, ma anche una riflessione che il poeta fa a partire dalla questione della reversibilità dello sguardo. Infatti, il rapporto tra i testi e l’opera di Caravaggio non rientra all’interno delle tecniche dell’èkphrasis: si tratta di opere che fanno emergere la presenza di uno sguardo senza osservatore; uno sguardo che fa del lettore uno spettatore, e dello scrittore un osservatore che è – allo stesso tempo – osservato.KEYWORDS: Rossi Preceruttiprose poeticheCaravaggiosguardoreversibilità Disclosure StatementNo potential conflict of interest was reported by the author(s).Notes1 L’esordio è con Entrebescar (Forlì: Forum Quinta Generazione, 1982). Per la generazione di poeti esordienti negli anni Ottanta, si fa riferimento alla recente proposta d’indagine curata da Sabrina Stroppa, la cui antologia ospita, nel secondo volume, anche il primo contributo scientifico dedicato a Rossi Precerutti. Si veda Davide Belgradi, ‘“Struttura di separazione” Roberto Rossi Precerutti da Entrebescar a Falso paesaggio (1982–1984)’, in La poesia italiana degli anni Ottanta: esordi e conferme, a cura di Sabrina Stroppa, 4 vol. (Lecce: Pensa MultiMedia, 2017), II, pp. 57–84.2 La raccolta di Rossi Precerutti che abbia ricevuto maggior riconoscimento è Rovine del cielo, insignita nel 2005 del Premio Mondello e nel 2009 del Premio ‘Val di Comino’. L’autore è anche finalista del Premio Viareggio per ben quattro edizioni differenti (2015, Rimarrà El Greco; 2016, Fatti di Caravaggio; 2019, Un impavido sonno; 2020, Verità irraggiungibile di Caravaggio). Un impavido sonno è anche insignito, nel 2021, del Premio ‘Il Meleto di Guido Gozzano’. Il suo periodo di più intensa collaborazione con Crocetti è quello che va tra il 1990 e il 2015, durante il quale — tra recensioni, interventi critici e traduzioni — Rossi Precerutti pubblica 61 contributi in rivista.3 Guardando soltanto alle pubblicazioni, senza tener conto delle vicendevoli prefazioni e postfazioni: Giorgio Luzzi, Coblas (Torino: L’Arzanà, 1980); Giorgio Luzzi, Luce e altri tatti (Torino: L’Arzanà, 1981); Giorgio Luzzi, Piccola serie inglese (Torino: L’Arzanà, 1983); Giorgio Luzzi, Le mura di Glorenza (Torino: L’Arzanà, 1984); Giorgio Luzzi, Geldwesen (Torino: L’Arzanà, 1987); Giorgio Luzzi, Epilogo occitano (Torino: L’Arzanà, 1990); Camillo Pennati, Un gioioso disporsi (Torino: L’Arzanà, 1980); Camillo Pennati, L’iridato paesaggio (Torino: L’Arzanà, 1985); Camillo Pennati, Così levigati relitti (Torino: L’Arzanà, 1987); Cesare Greppi, Corona (Torino: L’Arzanà, 1995); Sandro Sinigaglia, Breve anamnesi (Torino, L’Arzanà, 1991); Andrea Zanzotto, Poesie (1938–1986) (Torino: L’Arzanà, 1987).4 Cf. Belgradi, ‘“Struttura di separazione”’: la questione dell’esordio e degli influssi culturali dell’autore è tema centrale del saggio, a cui si rimanda anche per la concezione di una poesia d’esordio da intendersi come una ‘struttura di separazione’. L’anno d’esordio, il 1982, non è irrilevante essendo lo stesso anno di Patrizia Valduga, Medicamenta (Parma: Guanda, 1982). Cf. anche Sabrina Stroppa, ‘L’esordio di Patrizia Valduga: Medicamenta (1982)’, in La poesia italiana degli anni Ottanta, pp. 35–60.5 Sull’obscuritas di Rossi Precerutti è stato recentemente pubblicato un articolo che parte proprio dall’opera d’esordio, valutandone tra gli altri aspetti la ricezione della poesia dei trovatori. Le analisi delle caratteristiche ric svolte in questo studio possono aprire il discorso sulla ‘difficoltà’ della versificazione dell’autore, ma non sono chiaramente esaustive perché non ne contemplano lo sviluppo delle opere successive; cf. Davide Belgradi, ‘“e ancora”: l’eredità dei trovatori in Entrebescar di Roberto Rossi Precerutti (1982)’, Per Leggere, 21.41 (2021), 136–55.6 La produzione di sestine liriche di Rossi Precerutti è estremamente rilevante, quantitativamente e qualitativamente. Una prima discussione di questo aspetto è presente, in un paragrafo dedicato all’autore, negli atti di un convegno sulla sestina lirica; cf. Sabrina Stroppa and Davide Belgradi, ‘Microromanzi e microcosmi. La forma sestina nella poesia italiana degli anni Ottanta’, in Contrainte créatrice. La fortune littéraire de la sextine dans le temps et dans l’espace, ed. by Luca Barbieri and Marion Uhlig (Firenze: SISMEL–Edizioni del Galluzzo, 2023), pp. 87–110.7 Roberto Rossi Precerutti, Stella del perdono (Torino: L’Arzanà–Ed. Angolo Manzoni, 2002), pp. 7–9.8 Roberto Rossi Precerutti, Elogi di un disperso mattino (Milano: Crocetti, 2003), pp. 67–71; Rovine del cielo (Milano: Crocetti, 2005), pp. 9–18, 59–64, 107–18; Spose celesti (Milano: Viennepierre, 2006), pp. 105–10; La legge delle nubi (Milano: Crocetti, 2012), pp. 13–57, 95–98, 135–57; Rimarrà El Greco (Milano: Crocetti, 2015), pp. 13–19, 21–24, 27–28, 36–37, 44, 47–56; Vinse molta bellezza (Torino: Neos Edizioni, 2015), pp. 53–70; Fatti di Caravaggio (Torino: Aragno, 2016), pp. 7–9, 11–13, 15–18, 20, 22–24, 26–28, 30, 33–36, 38–42, 44, 46–48, 50–52, 58–59, 61–63, 67–69, 71–76, 78, 81; Domenica delle fiamme (Torino: Aragno, 2016), pp. 19–38, 87–106; Un sogno di Borromini (Alessandria: Puntoacapo, 2018), pp. 7–8, 15–24, 31–37, 39–43, 50; Un impavido sonno (Torino: Aragno), pp. 9–26; Verità irraggiungibile di Caravaggio (Torino: Neos Edizioni, 2020), pp. 5–11, 18–19, 26–28, 32–33, 50–59; Il sogno del cavaliere (Torino: Neos Edizioni, 2021), pp. 8, 16–18, 38–40; Genio dell’infanzia cattolica (Torino: Aragno, 2021), pp. 91–104, 110–111, 113–114, 120–121; Lo sgomento della grazia (Torino: Neos Edizioni, 2023), pp. 7–34.9 Claudia Crocco, La poesia in prosa in Italia: dal Novecento a oggi (Roma: Carocci, 2021). Da rilevare, però, l’assenza dal volume di Crocco delle prose di Rossi Precerutti, che non viene mai menzionato.10 Crocco, La poesia in prosa in Italia, p. 47. Il termine voicing è usato da Crocco nel senso individuato da Jonathan Culler, Theory of the Lyric (Cambridge–London: Harvard University Press, 2015), pp. 34–38.11 Crocco, prendendo come casi studio Boine, Jahier, Rebora, Campana e Sbarbaro, individua diverse forme dell’autobiografia e distingue almeno tre tipologie di fenomeni: scissione del soggetto, svalutazione/mitizzazione del soggetto, e autoriflessività (Crocco, La poesia in prosa in Italia, pp. 61–75). Per l’autobiografia, cf. almeno Maria Anna Mariani, Sull’autobiografia contemporanea: Nathalie Serraute, Elias Canetti, Alice Munro, Primo Levi (Roma: Carocci, 2012), p. 12; Guido Mazzoni, Sulla poesia moderna (Bologna: Il Mulino, 2005), pp.107–19.12 Per le varie caratteristiche, si rinvia a Crocco, La poesia in prosa in Italia, pp. 103, 115, 126–27.13 Paolo Gambazzi, L’occhio e il suo inconscio (Milano: Cortina, 1999), p. 188. La prospettiva qui adottata non è quella che rimanda, strettamente, ai visual studies, per quanto sarebbe stato possibile e interessante procedere anche in tal senso. Il concetto di sguardo è indagato in una direttrice che incrocia soprattutto, in senso filosofico e psicanalitico, le posizioni di Jean-Paul Sartre, Jacques Lacan e Maurice Merleau-Ponty. Tale concetto è sintetizzato bene anche da Michele Cometa, Cultura visuale (Milano: Raffaello Cortina, 2020), pp. 40–45. Sulle interazioni tra visual studies e prospettive strettamente filosofiche trovo interessanti gli spunti di Simone Furlani, L’immagine e la scrittura: le logiche del vedere tra segno e riflessione (Milano: Mimesis, 2016). Per quanto riguarda i visual studies, è indispensabile fare menzione almeno dei contributi di W. J. Thomas Mitchell, Iconology: Image, Text, Ideology (Chicago: The University of Chicago Press, 1986); W. J. Thomas Mitchell, Picture Theory (Chicago: The University of Chicago Press, 1994); W. J. Thomas Mitchell, Image Science: Iconology, Visual Culture and Media Aesthetics (Chicago: The University of Chicago Press, 2015).14 Talvolta, come in liii, la prosa termina con un testo in versi, posto in chiusura. Le poesie rimanenti hanno diversi metri: 2 sestine liriche (xlvi, lxx), 2 madrigali (lvi, lvii), 18 sonetti (iv, viii, xiii, xv, xix, xxiii, xxv, xxvi, xxxi, xxxvii, xxxix, xlii, xlvii, xlviii, xlix, lii, lv, lxviii), e una sequenza di quartine di ottonari senza rime fisse (lxi). Si dica ancora che il madrigale è in realtà in una versione rara, presentando al posto delle due canoniche terzine concluse da un distico baciato, due quartine con schema ABBA–ABBA. I sonetti xxvi e xlvii, infine, sono varianti del sonetto, non essendo endecasillabici. Sono due sonetti minori, in settenari il primo (il v. 14 è endecasillabico) e in novenari il secondo.15 Ironica e calzante la lettura di Marzo Pieri che, in uno scritto apparso postumo in Verità irraggiungibile di Caravaggio (p. 92), scrive: ‘Va da sé che qui pittura e verbo non s’incontrano sul sentiero, che sarebbe ovvio, dell’èkphrasis. […] Ironia del discorso, avendo appena elusa, quando non anzi vietata, una funzione ecfrastica dei poemi di Rossi Precerutti, mi accade di augurarmi una ristampa di queste poesie “dall’arte”, fornita di puntuali immagini a fronte. Verifica di assenza’. Il dispositivo dell’èkphrasis, invece, che meriterebbe tutt’altro tipo di approfondimento e le cui indagini sarebbero insoddisfacenti se applicate ai testi di Rossi Precerutti, sarebbe rilevante a partire dalla prospettiva dei visual studies. La bibliografia sarebbe ampia, ma segnalo almeno alcuni contributi di Mitchell, Krieger e Cometa: Mitchell, Picture Theory, pp. 151–82; Murray Krieger, Ekphrasis: The Illusion of the Natural Sign (Baltimore–London: Johns Hopkins University Press, 1992); Murray Krieger, ‘The Problem of Ekphrasis: Image and Word, Space and Time — and Literary Work’, in Pictures into Words: Theoretical and Descriptive Approaches to Ekphrasis, ed. by Valerie Robilland and Else Jongeneel (Amsterdam: VU University Press, 1998), pp. 3–20; Michele Cometa, La scrittura delle immagini: letteratura e cultura visuale (Milano: Raffaello Cortina, 2012), pp. 11–166.16 Marilina Ciaco, ‘Poesia contemporanea e cultura visuale: pratiche visuali, sguardo e dispositivi nella poesia italiana recente’, LEA: Lingue e letterature d’Oriente e d’Occidente, 8 (2019), 339–51 (p. 341). Sulle varie forme dell’iconismo in poesia si rimanda, tra gli altri, a Luigi Ballerini, La piramide capovolta: scritture visuali e d’avanguardia (Venezia: Marsilio, 1975); Giovanni Pozzi, La parola dipinta (Milano: Adelphi, 1981); Jean-Marie Gleize, Poésie et figuration (Paris: Seuil, 1983). Per un affondo, invece, negli studi di cultura visuale, il rimando è ancora a Mitchell, Picture Theory.17 Differisce la prosa xli, che oltre ad essere molto lunga rispetto alla media della raccolta è anche composta da tre diverse sequenze separate da degli a capo, gli unici tra le prose poetiche del libro.18 Si elude, in tal senso, un principio che, relativamente alla pratica dell’èkphrasis, è individuato da Cometa, La scrittura delle immagini, p. 288: si tratta di immergersi nella ‘questione cruciale del rapporto agonale tra visibile e dicibile’. Cf. anche Cometa, La scrittura delle immagini, p. 290: ‘Nello spazio intermedio tra visibile e dicibile è possibile abitare, purché si sappia che il fondamento di quello che si dice è altrove e può emergere per contrasto solo sullo sfondo di ciò che si vede, mentre il fondamento di quello che si vede riluce tra le trame di ciò che si dice’.19 Crocco, La poesia in prosa in Italia, pp. 103 (da cui si cita), 149, 216.20 Crocco, La poesia in prosa in Italia, p. 42.21 Emblematica in tal senso la conclusione dell’intervista che l’autore rilascia a Sabrina Stroppa, quando parlando della prassi poetica afferma che ‘è l’unico modo che io conosca di abitare la morte, cioè di dare un senso alla nostra finitudine’ (Sabrina Stroppa, ‘I colori del buio: Sabrina Stroppa a colloquio con Roberto Rossi Precerutti’, Insula europea ‹https://www.insulaeuropea.eu/2022/01/10/i-colori-del-buio-sabrina-stroppa-a-colloquio-con-roberto-rossi-precerutti/› [consultato il 13 giugno 2022]).22 Da sempre al centro della raffigurazione poetica autoriale, così come denuncia emblematicamente un libro giovanile come Falso paesaggio (Torino: Books&Video, 1984). Cf. anche la descrizione della raccolta in Belgradi, ‘“Struttura di separazione”’.23 Anche in questo caso la scelta di Rossi Precerutti non sembra allineata con le tendenze più recenti: cf. Crocco, La poesia in prosa in Italia, pp. 222–24.24 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 24.25 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 16. La prosa non è dedicata a un’opera.26 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, pp. 38, 39, 52. Anche per questi casi non si parla di ‘novenario’, dal momento che le sedi proprie del verso non vengono rispettate.27 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 58.28 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, pp. 28, 34.29 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 11.30 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, pp. 8, 18, 28.31 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 9.32 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 13.33 Crocco, La poesia in prosa in Italia, p. 82.34 Crocco, La poesia in prosa in Italia, p. 83.35 Crocco, La poesia in prosa in Italia, pp. 61–82.36 Entrambe le citazioni da Crocco, La poesia in prosa in Italia, p. 75.37 Crocco, La poesia in prosa in Italia, pp. 61, 68–72.38 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 35.39 La categoria di ‘autore reale’ sembra opportuna, ma è ovviamente discussa e discutibile. Senza voler declinare il discorso in un eccessivo approfondimento in senso narratologico, ciò che mi preme è registrare l’oscillazione di questi diversi soggetti che dicono ‘io’ facendo notare come, almeno in un caso, sembri avvenire una compromissione/sconfinamento tra l’io lirico e l’autorappresentazione dell’‘autore reale’ che scrivendo si mette in scena. I più opportuni riferimenti teorici per la recente rivalutazione della figura dell’autore (per quanto riguarda la teoria del romanzo) mi sembrano quelli di Stefano Ballerio, Sul conto dell’autore: narrazione, scrittura e idee di romanzo (Milano: Franco Angeli, 2013); Filippo Pennacchio, Eccessi d’autore: retoriche della voce nel romanzo italiano di oggi (Milano: Mimesis, 2020), in part. pp. 161–203. Similmente a quanto sostiene Pennacchio, anche Paolo Giovannetti, in Spettatori del romanzo: saggi per una narratologia del lettore (Milano: Ledizioni, 2015), p. 14, sottolinea come oggi si assista a una ‘riscossa dell’autore, a un suo ritorno, anzi al suo dilagare, alla sua rivincita sopra il narratore’.40 Cf. Filippo Milani, Il pittore come personaggio: itinerari nella narrativa italiana contemporanea (Roma: Carocci, 2020).41 In primis lo studio di Roberto Longhi, Caravaggio (Milano: Martello Editore, 1952). L’importanza del lavoro di Longhi è sottolineata anche da Marzo Pieri nello scritto che chiude Roberto Rossi Precerutti, Verità irraggiungibile di Caravaggio, pp. 87–89. D’altronde, un rinnovato impulso allo studio di Caravaggio è stato dato proprio da Longhi in occasione della mostra di Milano del 1951: Roberto Longhi, Mostra di Caravaggio e dei caravaggeschi, catalogo della mostra di Milano, Palazzo Reale, aprile–giugno 1951 (Firenze: Sansoni, 1951); intorno a quegli anni si vedano anche Bernard Berenson, Del Caravaggio, delle sue incongruenze e della sua fama, trad. italiana di Luisa Vertova (Firenze: Electa, 1950); Costantino Baroni, Tutta la pittura del Caravaggio (Milano: Rizzoli, 1951).42 Francesco Zucconi, Displacing Caravaggio: Art, Media, and Humanitarian Visual Culture (London: Palgrave Macmillan, 2018), p. 8. La riflessione di Zucconi, a cui rimando, continua chiedendosi come vada accolta questa ripresa (talvolta) decontestualizzata, invitando — in maniera che reputo particolarmente condivisibile — a non incorrere in risposte semplicistiche con un’opposizione di tipo binario, ma di considerare in profondità i contesti e i casi. Per un’indagine su Caravaggio a partire anche dagli strumenti della narratologia, si veda Mieke Bal, Quoting Caravaggio (Chicago: The University of Chicago Press, 2015).43 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 18. Sul tema che qui emerge dell’ottica in Caravaggio, si vedano almeno Roberta Lapucci, Caravaggio e l’ottica (Firenze: Restart, 2005); Sybille Ebert-Shifferer e altri, Lumen, imago, pictura: la luce nella storia dell’ottica e nella rappresentazione visiva da Giotto a Caravaggio, Atti del Convegno di Roma del 12–13 aprile 2010 (Roma: De Luca, 2018); Filippo Milani, ‘Vedere, non vedere: Alessandro Leogrande e lo sguardo di Caravaggio’, Scritture migranti, 12 (2018), 191–216.44 Crocco, La poesia in prosa in Italia, p. 68.45 Francesco Zucconi, ‘Davanti all’immagine del dolore degli altri: Caravaggio, Sontag, Leogrande’, Finzioni, 1 (2021), 106–17 (p. 115): ‘quella proposta nel Martirio di san Matteo non è soltanto un’immagine di sè “davanti al dolore degli altri” ma anche e al contempo — trasformando la celebre formula di Sontag — un’immagine di sè “davanti all’immagine del dolore degli altri”. Da un lato, con il suo sguardo, Caravaggio ci invita a osservare l’evento reale e suggerisce un atteggiamento emotivo da assumere davanti al gesto violento. Dall’altro, con il suo posizionamento spaziale e con la sua postura, ci spinge a osservare la composizione dell’intera scena “da lontano” o meglio “da fuori”: come se si trattasse di un quadro, come se fosse un’immagine’. Il riferimento di Zucconi è a Susan Sontag, Davanti al dolore degli altri (Milano: Mondadori, 2006).46 Sto attualmente studiando questo aspetto in alcuni testi di Entrebescar (1982) che evocano direttamente l’orizzonte gnostico-càtaro, in continuità — appunto — con alcune delle formulazioni di Emil Cioran, L’inconveniente di essere nati (Milano: Adelphi, 1991). Il pensiero gnostico-càtaro ha una matrice duale, e tende quindi a dividere ciò che è corporeo/materiale da ciò che è spirituale/immateriale, demonizzando tutto ciò che rientra nel primo gruppo. Si tratta di un’eresia che dilaga intorno al XIII secolo e che contesta l’autorità della Chiesa a partire da una concezione del mondo come il teatro di un conflitto dualistico tra Satana (materialità) e Dio (spiritualità). Non è possibile sviluppare ulteriormente le tracce di questa matrice filosofica, che però credo sia utile segnalare perché è sotterranea dal primo all’ultimo libro dell’autore. Per la ricostruzione dell’eresia càtara si vedano, tra gli altri, i due volumi a cura di Jean Duvernoy, Le Catharisme: la religion des cathares (Toulouse: Privat, 1976); Jean Duvernoy, Le Catharisme: l’histoire des cathares (Toulouse: Privat, 1979).47 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 68.48 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 47.49 A proposito di alcune influenze tra letteratura e arte pittorica, cf. Marco Antonio Bazzocchi, ‘Piero, Longhi, gli scrittori e il cinema: riflessi di un mito dalle immagini alle parole’, in Piero della Francesca: indagine su un mito, a cura di Antonio Paolucci (Milano: Silvana, 2016), pp. 367–78; Marco Antonio Bazzocchi, Con gli occhi di Artemisia (Bologna: il Mulino, 2021), in part. pp. 71–99, 135–58. Come si è visto, questa intersezione tra opera poetica e opera pittorica crea anche l’occasione per esaminare l’oscillazione nel soggetto che dice ‘io’. Oltre agli studi di Stefano Ballerio e Filippo Pennacchio, trovo opportuno ricollegarsi a quanto detto, parlando di ‘crisi’ del soggetto poetico, anche in senso di proliferazione polifonica, da Paolo Giovannetti, Modi della poesia italiana contemporanea: forme e tecniche dal 1950 a oggi (Roma: Carocci, 2005), p. 41, che parla di un ‘indebolimento strutturale dell’istanza enunciativa che fonda il discorso poetico’. Non è il punto dell’articolo descrivere precisamente tale oscillazione: vista la carenza di studi sulle opere di Rossi Precerutti si vorrebbe semmai registrare il fenomeno per poterlo meglio chiarire in futuro, e mi limito ad aggiungere infine che, in altra maniera, sembrano calzanti le parole di Enrico Testa, Per interposta persona: lingua e poesia nel secondo Novecento (Roma: Bulzoni, 1999), p. 20, che parla di una ’deflagrazione del soggetto’, o ancora di Maria Antonietta Grignani, La costanza della ragione: soggetto, oggetto e testualità nella poesia italiana del Novecento (Novara: Interlinea, 2002), p. 89, che parla della presenza nella poesia contemporanea di una ‘polifonia [e di un] conflitto di voci delegate per tradizione al romanzo’.50 Gambazzi, L’occhio e il suo inconscio, p. 211.51 Raoul Kirchmayr, Merleau-Ponty: una sintesi (Milano: Marinotti, 2008), p. 239. Il riferimento dello studioso è a quanto affermato dal filosofo francese in Maurice Merleau-Ponty, L’occhio e lo spirito (Milano: SE, 1989).52 Jacques Lacan, Il seminario XI: i quattro concetti fondamentali della psicanalisi (1964) (Torino: Einaudi, 2003), p. 108. Tale prospettiva non è stata sviluppata perché avrebbe cambiato il tipo di studio, ma sarebbe probabilmente interessante insistere ulteriormente sull’ipotesi di una scrittura dello sguardo in senso lacaniano, tentando di rileggere le prose di Rossi Precerutti alla luce delle considerazioni che Lacan fa a proposito della schisi tra occhio e sguardo e del rapporto dell’osservatore con il quadro (ibid., pp. 67–117). La questione andrebbe interrogata, a ritroso, anche guardando ciò che Sartre, peraltro discusso anche da Lacan (ibid., pp. 78–89), afferma a proposito della reversibilità dello sguardo: Jean-Paul Sartre, L’essere e il nulla (Milano: Il Saggiatore, 1965), p. 326. L’incursione, molto specifica e complessa, rimane in questa sede un semplice suggerimento per approfondimenti futuri.53 Kirchmayr, Merleau-Ponty: una sintesi, p. 239.54 È infatti fitto il dialogo dell’ultimo Merleau-Ponty, che nel 1960 scrive proprio L’Œil et l’Esprit, e il Lacan dell’undicesimo seminario (che raccoglie interventi del 1964). In questi anni, soprattutto per l’idea di uno sguardo ‘catturato’ dal quadro e rovesciato sull’osservatore, i due pensatori sono molto vicini. Si veda Maurice Merleau-Ponty, L’occhio e lo spirito (Milano: SE, 1989).55 Il riferimento è a Tommaso Pincio, Il dono di saper vivere (Torino: Einaudi, 2018), studiato da Matteo Martelli, ‘In ritratto: Haenel e Pincio, tra èkphrasis e effrazione’, Finzioni, 1.1 (2021), 70–87. Per un approfondimento tra l’opera di Pincio e le arti figurative, si veda almeno Filippo Milani, Il pittore come personaggio (Roma: Carocci, 2020), pp. 129–41.56 Martelli, ‘In ritratto’, p. 77.57 Sull’interessante prospettiva di Pincio e sul tipo di èkphrasis, si veda ancora Martelli, ‘In ritratto’, p. 83: ‘L’èkphrasis si declinerebbe allora come scrittura che rende conto non tanto di una descrizione quanto del luogo del suo provenire, del contatto con le immagini, con una materia che ci sta di fronte’.58 Gambazzi, L’occhio e il suo inconscio, p. 211.59 Sono rare ma non sono assenti vere e proprie prose, che solitamente si innestano su ricordi biografici e andrebbero considerate come un caso a parte rispetto ai testi di cui si è parlato in quest’occasione. Si veda ad esempio la prosa ‘La Torre’, in La legge delle nubi (p. 141), al cui centro c’è un problematico ma intensissimo ricordo legato al rapporto con il padre (cito solo i primi passaggi): ‘Non fu mai perdonato. Subito dopo la guerra, mio padre aveva abbandonato l’esercito, composto ormai, a suo dire, da ufficiali e soldati alle cui divise sembrava rimaner attaccato il lezzo di risciacquature e di stenti del peggior neorealismo. In mezzo alla degradata promiscuità dei tempi, scoprì di non saper fare nulla […]’.60 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 44. Per la figura di Narciso, si veda anche tutto il capitolo in Bal, Quoting Caravaggio, pp. 231–61, in part. pp. 239–46.61 Per le questioni di identità e alterità il riferimento è Jacques Lacan, ‘Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’io’, in Scritti (Torino: Einaudi, 1974), pp. 87–94. Chiaramente, per comprendere le posizioni di Lacan è importante ripartire da Sigmund Freud, ‘Introduzione al narcisismo’, in Opere. Volume settimo: 1912–1914 (Torino: Bollati Boringhieri, 1975), pp. 439–72.62 Jacques Lacan, Il seminario X: l’angoscia (1962–1963) (Torino: Einaudi, 2007), p. 242. Anche in questo caso, non è possibile sviluppare questa lettura che credo, però, potrebbe essere produttiva. Penso che le prose, più che altri componimenti, permetterebbero di sviluppare quello che qui è stato definito un ‘tricoismo dell’io’, anche con gli strumenti specifici della critica filosofico-psicanalitica e alla luce di una contestazione di un’idea di cogito in senso cartesiano. Cf. anche l’analisi di Bal, Quoting Caravaggio, p. 235: ‘The mirror stage is crucial to the formation of the subject because it provides the sensational body of confused sense perceptions with an existence in space. […] In other words, fictive as it is, the mirror image is also, at the same time, the reality that anchors the organism in space’.63 Alle già citate ricostruzioni storiche di Jean Duvernoy, si possono menzionare ancora alcuni studi a cura di Francesco Zambon: La cena segreta: trattati e rituali catari (Milano: Adelphi, 1997); I trovatori e la crociata contro gli albigesi (Milano: Luni, 1999).\",\"PeriodicalId\":44221,\"journal\":{\"name\":\"Italian Studies\",\"volume\":\"116 1\",\"pages\":\"0\"},\"PeriodicalIF\":0.3000,\"publicationDate\":\"2023-10-09\",\"publicationTypes\":\"Journal Article\",\"fieldsOfStudy\":null,\"isOpenAccess\":false,\"openAccessPdf\":\"\",\"citationCount\":\"0\",\"resultStr\":null,\"platform\":\"Semanticscholar\",\"paperid\":null,\"PeriodicalName\":\"Italian Studies\",\"FirstCategoryId\":\"1085\",\"ListUrlMain\":\"https://doi.org/10.1080/00751634.2023.2245220\",\"RegionNum\":3,\"RegionCategory\":\"文学\",\"ArticlePicture\":[],\"TitleCN\":null,\"AbstractTextCN\":null,\"PMCID\":null,\"EPubDate\":\"\",\"PubModel\":\"\",\"JCR\":\"0\",\"JCRName\":\"HUMANITIES, MULTIDISCIPLINARY\",\"Score\":null,\"Total\":0}","platform":"Semanticscholar","paperid":null,"PeriodicalName":"Italian Studies","FirstCategoryId":"1085","ListUrlMain":"https://doi.org/10.1080/00751634.2023.2245220","RegionNum":3,"RegionCategory":"文学","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":null,"EPubDate":"","PubModel":"","JCR":"0","JCRName":"HUMANITIES, MULTIDISCIPLINARY","Score":null,"Total":0}
Le prose poetiche di Roberto Rossi Precerutti: strutture e reversibilità dello sguardo nei Fatti di Caravaggio (2016)
ABSTRACTL’articolo analizza le prose poetiche della raccolta Fatti di Caravaggio di Roberto Rossi Precerutti, inserendole da subito all’interno del contesto novecentesco e in continuità con le riflessioni sulla poesia in prosa come genere. Le prose della raccolta sono analizzate su più livelli: metrico, sintattico, linguistico e contenutistico. Ciò che i testi evidenziano, inoltre, è un complesso – ma non inedito, per l’autore – legame tra la prosa poetica e le opere pittoriche, in questo caso caravaggesche. Tale connessione fa emergere non soltanto un io lirico instabile e non univoco, che tende a istituire tre diversi modelli di soggettività, ma anche una riflessione che il poeta fa a partire dalla questione della reversibilità dello sguardo. Infatti, il rapporto tra i testi e l’opera di Caravaggio non rientra all’interno delle tecniche dell’èkphrasis: si tratta di opere che fanno emergere la presenza di uno sguardo senza osservatore; uno sguardo che fa del lettore uno spettatore, e dello scrittore un osservatore che è – allo stesso tempo – osservato.KEYWORDS: Rossi Preceruttiprose poeticheCaravaggiosguardoreversibilità Disclosure StatementNo potential conflict of interest was reported by the author(s).Notes1 L’esordio è con Entrebescar (Forlì: Forum Quinta Generazione, 1982). Per la generazione di poeti esordienti negli anni Ottanta, si fa riferimento alla recente proposta d’indagine curata da Sabrina Stroppa, la cui antologia ospita, nel secondo volume, anche il primo contributo scientifico dedicato a Rossi Precerutti. Si veda Davide Belgradi, ‘“Struttura di separazione” Roberto Rossi Precerutti da Entrebescar a Falso paesaggio (1982–1984)’, in La poesia italiana degli anni Ottanta: esordi e conferme, a cura di Sabrina Stroppa, 4 vol. (Lecce: Pensa MultiMedia, 2017), II, pp. 57–84.2 La raccolta di Rossi Precerutti che abbia ricevuto maggior riconoscimento è Rovine del cielo, insignita nel 2005 del Premio Mondello e nel 2009 del Premio ‘Val di Comino’. L’autore è anche finalista del Premio Viareggio per ben quattro edizioni differenti (2015, Rimarrà El Greco; 2016, Fatti di Caravaggio; 2019, Un impavido sonno; 2020, Verità irraggiungibile di Caravaggio). Un impavido sonno è anche insignito, nel 2021, del Premio ‘Il Meleto di Guido Gozzano’. Il suo periodo di più intensa collaborazione con Crocetti è quello che va tra il 1990 e il 2015, durante il quale — tra recensioni, interventi critici e traduzioni — Rossi Precerutti pubblica 61 contributi in rivista.3 Guardando soltanto alle pubblicazioni, senza tener conto delle vicendevoli prefazioni e postfazioni: Giorgio Luzzi, Coblas (Torino: L’Arzanà, 1980); Giorgio Luzzi, Luce e altri tatti (Torino: L’Arzanà, 1981); Giorgio Luzzi, Piccola serie inglese (Torino: L’Arzanà, 1983); Giorgio Luzzi, Le mura di Glorenza (Torino: L’Arzanà, 1984); Giorgio Luzzi, Geldwesen (Torino: L’Arzanà, 1987); Giorgio Luzzi, Epilogo occitano (Torino: L’Arzanà, 1990); Camillo Pennati, Un gioioso disporsi (Torino: L’Arzanà, 1980); Camillo Pennati, L’iridato paesaggio (Torino: L’Arzanà, 1985); Camillo Pennati, Così levigati relitti (Torino: L’Arzanà, 1987); Cesare Greppi, Corona (Torino: L’Arzanà, 1995); Sandro Sinigaglia, Breve anamnesi (Torino, L’Arzanà, 1991); Andrea Zanzotto, Poesie (1938–1986) (Torino: L’Arzanà, 1987).4 Cf. Belgradi, ‘“Struttura di separazione”’: la questione dell’esordio e degli influssi culturali dell’autore è tema centrale del saggio, a cui si rimanda anche per la concezione di una poesia d’esordio da intendersi come una ‘struttura di separazione’. L’anno d’esordio, il 1982, non è irrilevante essendo lo stesso anno di Patrizia Valduga, Medicamenta (Parma: Guanda, 1982). Cf. anche Sabrina Stroppa, ‘L’esordio di Patrizia Valduga: Medicamenta (1982)’, in La poesia italiana degli anni Ottanta, pp. 35–60.5 Sull’obscuritas di Rossi Precerutti è stato recentemente pubblicato un articolo che parte proprio dall’opera d’esordio, valutandone tra gli altri aspetti la ricezione della poesia dei trovatori. Le analisi delle caratteristiche ric svolte in questo studio possono aprire il discorso sulla ‘difficoltà’ della versificazione dell’autore, ma non sono chiaramente esaustive perché non ne contemplano lo sviluppo delle opere successive; cf. Davide Belgradi, ‘“e ancora”: l’eredità dei trovatori in Entrebescar di Roberto Rossi Precerutti (1982)’, Per Leggere, 21.41 (2021), 136–55.6 La produzione di sestine liriche di Rossi Precerutti è estremamente rilevante, quantitativamente e qualitativamente. Una prima discussione di questo aspetto è presente, in un paragrafo dedicato all’autore, negli atti di un convegno sulla sestina lirica; cf. Sabrina Stroppa and Davide Belgradi, ‘Microromanzi e microcosmi. La forma sestina nella poesia italiana degli anni Ottanta’, in Contrainte créatrice. La fortune littéraire de la sextine dans le temps et dans l’espace, ed. by Luca Barbieri and Marion Uhlig (Firenze: SISMEL–Edizioni del Galluzzo, 2023), pp. 87–110.7 Roberto Rossi Precerutti, Stella del perdono (Torino: L’Arzanà–Ed. Angolo Manzoni, 2002), pp. 7–9.8 Roberto Rossi Precerutti, Elogi di un disperso mattino (Milano: Crocetti, 2003), pp. 67–71; Rovine del cielo (Milano: Crocetti, 2005), pp. 9–18, 59–64, 107–18; Spose celesti (Milano: Viennepierre, 2006), pp. 105–10; La legge delle nubi (Milano: Crocetti, 2012), pp. 13–57, 95–98, 135–57; Rimarrà El Greco (Milano: Crocetti, 2015), pp. 13–19, 21–24, 27–28, 36–37, 44, 47–56; Vinse molta bellezza (Torino: Neos Edizioni, 2015), pp. 53–70; Fatti di Caravaggio (Torino: Aragno, 2016), pp. 7–9, 11–13, 15–18, 20, 22–24, 26–28, 30, 33–36, 38–42, 44, 46–48, 50–52, 58–59, 61–63, 67–69, 71–76, 78, 81; Domenica delle fiamme (Torino: Aragno, 2016), pp. 19–38, 87–106; Un sogno di Borromini (Alessandria: Puntoacapo, 2018), pp. 7–8, 15–24, 31–37, 39–43, 50; Un impavido sonno (Torino: Aragno), pp. 9–26; Verità irraggiungibile di Caravaggio (Torino: Neos Edizioni, 2020), pp. 5–11, 18–19, 26–28, 32–33, 50–59; Il sogno del cavaliere (Torino: Neos Edizioni, 2021), pp. 8, 16–18, 38–40; Genio dell’infanzia cattolica (Torino: Aragno, 2021), pp. 91–104, 110–111, 113–114, 120–121; Lo sgomento della grazia (Torino: Neos Edizioni, 2023), pp. 7–34.9 Claudia Crocco, La poesia in prosa in Italia: dal Novecento a oggi (Roma: Carocci, 2021). Da rilevare, però, l’assenza dal volume di Crocco delle prose di Rossi Precerutti, che non viene mai menzionato.10 Crocco, La poesia in prosa in Italia, p. 47. Il termine voicing è usato da Crocco nel senso individuato da Jonathan Culler, Theory of the Lyric (Cambridge–London: Harvard University Press, 2015), pp. 34–38.11 Crocco, prendendo come casi studio Boine, Jahier, Rebora, Campana e Sbarbaro, individua diverse forme dell’autobiografia e distingue almeno tre tipologie di fenomeni: scissione del soggetto, svalutazione/mitizzazione del soggetto, e autoriflessività (Crocco, La poesia in prosa in Italia, pp. 61–75). Per l’autobiografia, cf. almeno Maria Anna Mariani, Sull’autobiografia contemporanea: Nathalie Serraute, Elias Canetti, Alice Munro, Primo Levi (Roma: Carocci, 2012), p. 12; Guido Mazzoni, Sulla poesia moderna (Bologna: Il Mulino, 2005), pp.107–19.12 Per le varie caratteristiche, si rinvia a Crocco, La poesia in prosa in Italia, pp. 103, 115, 126–27.13 Paolo Gambazzi, L’occhio e il suo inconscio (Milano: Cortina, 1999), p. 188. La prospettiva qui adottata non è quella che rimanda, strettamente, ai visual studies, per quanto sarebbe stato possibile e interessante procedere anche in tal senso. Il concetto di sguardo è indagato in una direttrice che incrocia soprattutto, in senso filosofico e psicanalitico, le posizioni di Jean-Paul Sartre, Jacques Lacan e Maurice Merleau-Ponty. Tale concetto è sintetizzato bene anche da Michele Cometa, Cultura visuale (Milano: Raffaello Cortina, 2020), pp. 40–45. Sulle interazioni tra visual studies e prospettive strettamente filosofiche trovo interessanti gli spunti di Simone Furlani, L’immagine e la scrittura: le logiche del vedere tra segno e riflessione (Milano: Mimesis, 2016). Per quanto riguarda i visual studies, è indispensabile fare menzione almeno dei contributi di W. J. Thomas Mitchell, Iconology: Image, Text, Ideology (Chicago: The University of Chicago Press, 1986); W. J. Thomas Mitchell, Picture Theory (Chicago: The University of Chicago Press, 1994); W. J. Thomas Mitchell, Image Science: Iconology, Visual Culture and Media Aesthetics (Chicago: The University of Chicago Press, 2015).14 Talvolta, come in liii, la prosa termina con un testo in versi, posto in chiusura. Le poesie rimanenti hanno diversi metri: 2 sestine liriche (xlvi, lxx), 2 madrigali (lvi, lvii), 18 sonetti (iv, viii, xiii, xv, xix, xxiii, xxv, xxvi, xxxi, xxxvii, xxxix, xlii, xlvii, xlviii, xlix, lii, lv, lxviii), e una sequenza di quartine di ottonari senza rime fisse (lxi). Si dica ancora che il madrigale è in realtà in una versione rara, presentando al posto delle due canoniche terzine concluse da un distico baciato, due quartine con schema ABBA–ABBA. I sonetti xxvi e xlvii, infine, sono varianti del sonetto, non essendo endecasillabici. Sono due sonetti minori, in settenari il primo (il v. 14 è endecasillabico) e in novenari il secondo.15 Ironica e calzante la lettura di Marzo Pieri che, in uno scritto apparso postumo in Verità irraggiungibile di Caravaggio (p. 92), scrive: ‘Va da sé che qui pittura e verbo non s’incontrano sul sentiero, che sarebbe ovvio, dell’èkphrasis. […] Ironia del discorso, avendo appena elusa, quando non anzi vietata, una funzione ecfrastica dei poemi di Rossi Precerutti, mi accade di augurarmi una ristampa di queste poesie “dall’arte”, fornita di puntuali immagini a fronte. Verifica di assenza’. Il dispositivo dell’èkphrasis, invece, che meriterebbe tutt’altro tipo di approfondimento e le cui indagini sarebbero insoddisfacenti se applicate ai testi di Rossi Precerutti, sarebbe rilevante a partire dalla prospettiva dei visual studies. La bibliografia sarebbe ampia, ma segnalo almeno alcuni contributi di Mitchell, Krieger e Cometa: Mitchell, Picture Theory, pp. 151–82; Murray Krieger, Ekphrasis: The Illusion of the Natural Sign (Baltimore–London: Johns Hopkins University Press, 1992); Murray Krieger, ‘The Problem of Ekphrasis: Image and Word, Space and Time — and Literary Work’, in Pictures into Words: Theoretical and Descriptive Approaches to Ekphrasis, ed. by Valerie Robilland and Else Jongeneel (Amsterdam: VU University Press, 1998), pp. 3–20; Michele Cometa, La scrittura delle immagini: letteratura e cultura visuale (Milano: Raffaello Cortina, 2012), pp. 11–166.16 Marilina Ciaco, ‘Poesia contemporanea e cultura visuale: pratiche visuali, sguardo e dispositivi nella poesia italiana recente’, LEA: Lingue e letterature d’Oriente e d’Occidente, 8 (2019), 339–51 (p. 341). Sulle varie forme dell’iconismo in poesia si rimanda, tra gli altri, a Luigi Ballerini, La piramide capovolta: scritture visuali e d’avanguardia (Venezia: Marsilio, 1975); Giovanni Pozzi, La parola dipinta (Milano: Adelphi, 1981); Jean-Marie Gleize, Poésie et figuration (Paris: Seuil, 1983). Per un affondo, invece, negli studi di cultura visuale, il rimando è ancora a Mitchell, Picture Theory.17 Differisce la prosa xli, che oltre ad essere molto lunga rispetto alla media della raccolta è anche composta da tre diverse sequenze separate da degli a capo, gli unici tra le prose poetiche del libro.18 Si elude, in tal senso, un principio che, relativamente alla pratica dell’èkphrasis, è individuato da Cometa, La scrittura delle immagini, p. 288: si tratta di immergersi nella ‘questione cruciale del rapporto agonale tra visibile e dicibile’. Cf. anche Cometa, La scrittura delle immagini, p. 290: ‘Nello spazio intermedio tra visibile e dicibile è possibile abitare, purché si sappia che il fondamento di quello che si dice è altrove e può emergere per contrasto solo sullo sfondo di ciò che si vede, mentre il fondamento di quello che si vede riluce tra le trame di ciò che si dice’.19 Crocco, La poesia in prosa in Italia, pp. 103 (da cui si cita), 149, 216.20 Crocco, La poesia in prosa in Italia, p. 42.21 Emblematica in tal senso la conclusione dell’intervista che l’autore rilascia a Sabrina Stroppa, quando parlando della prassi poetica afferma che ‘è l’unico modo che io conosca di abitare la morte, cioè di dare un senso alla nostra finitudine’ (Sabrina Stroppa, ‘I colori del buio: Sabrina Stroppa a colloquio con Roberto Rossi Precerutti’, Insula europea ‹https://www.insulaeuropea.eu/2022/01/10/i-colori-del-buio-sabrina-stroppa-a-colloquio-con-roberto-rossi-precerutti/› [consultato il 13 giugno 2022]).22 Da sempre al centro della raffigurazione poetica autoriale, così come denuncia emblematicamente un libro giovanile come Falso paesaggio (Torino: Books&Video, 1984). Cf. anche la descrizione della raccolta in Belgradi, ‘“Struttura di separazione”’.23 Anche in questo caso la scelta di Rossi Precerutti non sembra allineata con le tendenze più recenti: cf. Crocco, La poesia in prosa in Italia, pp. 222–24.24 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 24.25 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 16. La prosa non è dedicata a un’opera.26 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, pp. 38, 39, 52. Anche per questi casi non si parla di ‘novenario’, dal momento che le sedi proprie del verso non vengono rispettate.27 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 58.28 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, pp. 28, 34.29 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 11.30 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, pp. 8, 18, 28.31 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 9.32 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 13.33 Crocco, La poesia in prosa in Italia, p. 82.34 Crocco, La poesia in prosa in Italia, p. 83.35 Crocco, La poesia in prosa in Italia, pp. 61–82.36 Entrambe le citazioni da Crocco, La poesia in prosa in Italia, p. 75.37 Crocco, La poesia in prosa in Italia, pp. 61, 68–72.38 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 35.39 La categoria di ‘autore reale’ sembra opportuna, ma è ovviamente discussa e discutibile. Senza voler declinare il discorso in un eccessivo approfondimento in senso narratologico, ciò che mi preme è registrare l’oscillazione di questi diversi soggetti che dicono ‘io’ facendo notare come, almeno in un caso, sembri avvenire una compromissione/sconfinamento tra l’io lirico e l’autorappresentazione dell’‘autore reale’ che scrivendo si mette in scena. I più opportuni riferimenti teorici per la recente rivalutazione della figura dell’autore (per quanto riguarda la teoria del romanzo) mi sembrano quelli di Stefano Ballerio, Sul conto dell’autore: narrazione, scrittura e idee di romanzo (Milano: Franco Angeli, 2013); Filippo Pennacchio, Eccessi d’autore: retoriche della voce nel romanzo italiano di oggi (Milano: Mimesis, 2020), in part. pp. 161–203. Similmente a quanto sostiene Pennacchio, anche Paolo Giovannetti, in Spettatori del romanzo: saggi per una narratologia del lettore (Milano: Ledizioni, 2015), p. 14, sottolinea come oggi si assista a una ‘riscossa dell’autore, a un suo ritorno, anzi al suo dilagare, alla sua rivincita sopra il narratore’.40 Cf. Filippo Milani, Il pittore come personaggio: itinerari nella narrativa italiana contemporanea (Roma: Carocci, 2020).41 In primis lo studio di Roberto Longhi, Caravaggio (Milano: Martello Editore, 1952). L’importanza del lavoro di Longhi è sottolineata anche da Marzo Pieri nello scritto che chiude Roberto Rossi Precerutti, Verità irraggiungibile di Caravaggio, pp. 87–89. D’altronde, un rinnovato impulso allo studio di Caravaggio è stato dato proprio da Longhi in occasione della mostra di Milano del 1951: Roberto Longhi, Mostra di Caravaggio e dei caravaggeschi, catalogo della mostra di Milano, Palazzo Reale, aprile–giugno 1951 (Firenze: Sansoni, 1951); intorno a quegli anni si vedano anche Bernard Berenson, Del Caravaggio, delle sue incongruenze e della sua fama, trad. italiana di Luisa Vertova (Firenze: Electa, 1950); Costantino Baroni, Tutta la pittura del Caravaggio (Milano: Rizzoli, 1951).42 Francesco Zucconi, Displacing Caravaggio: Art, Media, and Humanitarian Visual Culture (London: Palgrave Macmillan, 2018), p. 8. La riflessione di Zucconi, a cui rimando, continua chiedendosi come vada accolta questa ripresa (talvolta) decontestualizzata, invitando — in maniera che reputo particolarmente condivisibile — a non incorrere in risposte semplicistiche con un’opposizione di tipo binario, ma di considerare in profondità i contesti e i casi. Per un’indagine su Caravaggio a partire anche dagli strumenti della narratologia, si veda Mieke Bal, Quoting Caravaggio (Chicago: The University of Chicago Press, 2015).43 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 18. Sul tema che qui emerge dell’ottica in Caravaggio, si vedano almeno Roberta Lapucci, Caravaggio e l’ottica (Firenze: Restart, 2005); Sybille Ebert-Shifferer e altri, Lumen, imago, pictura: la luce nella storia dell’ottica e nella rappresentazione visiva da Giotto a Caravaggio, Atti del Convegno di Roma del 12–13 aprile 2010 (Roma: De Luca, 2018); Filippo Milani, ‘Vedere, non vedere: Alessandro Leogrande e lo sguardo di Caravaggio’, Scritture migranti, 12 (2018), 191–216.44 Crocco, La poesia in prosa in Italia, p. 68.45 Francesco Zucconi, ‘Davanti all’immagine del dolore degli altri: Caravaggio, Sontag, Leogrande’, Finzioni, 1 (2021), 106–17 (p. 115): ‘quella proposta nel Martirio di san Matteo non è soltanto un’immagine di sè “davanti al dolore degli altri” ma anche e al contempo — trasformando la celebre formula di Sontag — un’immagine di sè “davanti all’immagine del dolore degli altri”. Da un lato, con il suo sguardo, Caravaggio ci invita a osservare l’evento reale e suggerisce un atteggiamento emotivo da assumere davanti al gesto violento. Dall’altro, con il suo posizionamento spaziale e con la sua postura, ci spinge a osservare la composizione dell’intera scena “da lontano” o meglio “da fuori”: come se si trattasse di un quadro, come se fosse un’immagine’. Il riferimento di Zucconi è a Susan Sontag, Davanti al dolore degli altri (Milano: Mondadori, 2006).46 Sto attualmente studiando questo aspetto in alcuni testi di Entrebescar (1982) che evocano direttamente l’orizzonte gnostico-càtaro, in continuità — appunto — con alcune delle formulazioni di Emil Cioran, L’inconveniente di essere nati (Milano: Adelphi, 1991). Il pensiero gnostico-càtaro ha una matrice duale, e tende quindi a dividere ciò che è corporeo/materiale da ciò che è spirituale/immateriale, demonizzando tutto ciò che rientra nel primo gruppo. Si tratta di un’eresia che dilaga intorno al XIII secolo e che contesta l’autorità della Chiesa a partire da una concezione del mondo come il teatro di un conflitto dualistico tra Satana (materialità) e Dio (spiritualità). Non è possibile sviluppare ulteriormente le tracce di questa matrice filosofica, che però credo sia utile segnalare perché è sotterranea dal primo all’ultimo libro dell’autore. Per la ricostruzione dell’eresia càtara si vedano, tra gli altri, i due volumi a cura di Jean Duvernoy, Le Catharisme: la religion des cathares (Toulouse: Privat, 1976); Jean Duvernoy, Le Catharisme: l’histoire des cathares (Toulouse: Privat, 1979).47 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 68.48 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 47.49 A proposito di alcune influenze tra letteratura e arte pittorica, cf. Marco Antonio Bazzocchi, ‘Piero, Longhi, gli scrittori e il cinema: riflessi di un mito dalle immagini alle parole’, in Piero della Francesca: indagine su un mito, a cura di Antonio Paolucci (Milano: Silvana, 2016), pp. 367–78; Marco Antonio Bazzocchi, Con gli occhi di Artemisia (Bologna: il Mulino, 2021), in part. pp. 71–99, 135–58. Come si è visto, questa intersezione tra opera poetica e opera pittorica crea anche l’occasione per esaminare l’oscillazione nel soggetto che dice ‘io’. Oltre agli studi di Stefano Ballerio e Filippo Pennacchio, trovo opportuno ricollegarsi a quanto detto, parlando di ‘crisi’ del soggetto poetico, anche in senso di proliferazione polifonica, da Paolo Giovannetti, Modi della poesia italiana contemporanea: forme e tecniche dal 1950 a oggi (Roma: Carocci, 2005), p. 41, che parla di un ‘indebolimento strutturale dell’istanza enunciativa che fonda il discorso poetico’. Non è il punto dell’articolo descrivere precisamente tale oscillazione: vista la carenza di studi sulle opere di Rossi Precerutti si vorrebbe semmai registrare il fenomeno per poterlo meglio chiarire in futuro, e mi limito ad aggiungere infine che, in altra maniera, sembrano calzanti le parole di Enrico Testa, Per interposta persona: lingua e poesia nel secondo Novecento (Roma: Bulzoni, 1999), p. 20, che parla di una ’deflagrazione del soggetto’, o ancora di Maria Antonietta Grignani, La costanza della ragione: soggetto, oggetto e testualità nella poesia italiana del Novecento (Novara: Interlinea, 2002), p. 89, che parla della presenza nella poesia contemporanea di una ‘polifonia [e di un] conflitto di voci delegate per tradizione al romanzo’.50 Gambazzi, L’occhio e il suo inconscio, p. 211.51 Raoul Kirchmayr, Merleau-Ponty: una sintesi (Milano: Marinotti, 2008), p. 239. Il riferimento dello studioso è a quanto affermato dal filosofo francese in Maurice Merleau-Ponty, L’occhio e lo spirito (Milano: SE, 1989).52 Jacques Lacan, Il seminario XI: i quattro concetti fondamentali della psicanalisi (1964) (Torino: Einaudi, 2003), p. 108. Tale prospettiva non è stata sviluppata perché avrebbe cambiato il tipo di studio, ma sarebbe probabilmente interessante insistere ulteriormente sull’ipotesi di una scrittura dello sguardo in senso lacaniano, tentando di rileggere le prose di Rossi Precerutti alla luce delle considerazioni che Lacan fa a proposito della schisi tra occhio e sguardo e del rapporto dell’osservatore con il quadro (ibid., pp. 67–117). La questione andrebbe interrogata, a ritroso, anche guardando ciò che Sartre, peraltro discusso anche da Lacan (ibid., pp. 78–89), afferma a proposito della reversibilità dello sguardo: Jean-Paul Sartre, L’essere e il nulla (Milano: Il Saggiatore, 1965), p. 326. L’incursione, molto specifica e complessa, rimane in questa sede un semplice suggerimento per approfondimenti futuri.53 Kirchmayr, Merleau-Ponty: una sintesi, p. 239.54 È infatti fitto il dialogo dell’ultimo Merleau-Ponty, che nel 1960 scrive proprio L’Œil et l’Esprit, e il Lacan dell’undicesimo seminario (che raccoglie interventi del 1964). In questi anni, soprattutto per l’idea di uno sguardo ‘catturato’ dal quadro e rovesciato sull’osservatore, i due pensatori sono molto vicini. Si veda Maurice Merleau-Ponty, L’occhio e lo spirito (Milano: SE, 1989).55 Il riferimento è a Tommaso Pincio, Il dono di saper vivere (Torino: Einaudi, 2018), studiato da Matteo Martelli, ‘In ritratto: Haenel e Pincio, tra èkphrasis e effrazione’, Finzioni, 1.1 (2021), 70–87. Per un approfondimento tra l’opera di Pincio e le arti figurative, si veda almeno Filippo Milani, Il pittore come personaggio (Roma: Carocci, 2020), pp. 129–41.56 Martelli, ‘In ritratto’, p. 77.57 Sull’interessante prospettiva di Pincio e sul tipo di èkphrasis, si veda ancora Martelli, ‘In ritratto’, p. 83: ‘L’èkphrasis si declinerebbe allora come scrittura che rende conto non tanto di una descrizione quanto del luogo del suo provenire, del contatto con le immagini, con una materia che ci sta di fronte’.58 Gambazzi, L’occhio e il suo inconscio, p. 211.59 Sono rare ma non sono assenti vere e proprie prose, che solitamente si innestano su ricordi biografici e andrebbero considerate come un caso a parte rispetto ai testi di cui si è parlato in quest’occasione. Si veda ad esempio la prosa ‘La Torre’, in La legge delle nubi (p. 141), al cui centro c’è un problematico ma intensissimo ricordo legato al rapporto con il padre (cito solo i primi passaggi): ‘Non fu mai perdonato. Subito dopo la guerra, mio padre aveva abbandonato l’esercito, composto ormai, a suo dire, da ufficiali e soldati alle cui divise sembrava rimaner attaccato il lezzo di risciacquature e di stenti del peggior neorealismo. In mezzo alla degradata promiscuità dei tempi, scoprì di non saper fare nulla […]’.60 Rossi Precerutti, Fatti di Caravaggio, p. 44. Per la figura di Narciso, si veda anche tutto il capitolo in Bal, Quoting Caravaggio, pp. 231–61, in part. pp. 239–46.61 Per le questioni di identità e alterità il riferimento è Jacques Lacan, ‘Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’io’, in Scritti (Torino: Einaudi, 1974), pp. 87–94. Chiaramente, per comprendere le posizioni di Lacan è importante ripartire da Sigmund Freud, ‘Introduzione al narcisismo’, in Opere. Volume settimo: 1912–1914 (Torino: Bollati Boringhieri, 1975), pp. 439–72.62 Jacques Lacan, Il seminario X: l’angoscia (1962–1963) (Torino: Einaudi, 2007), p. 242. Anche in questo caso, non è possibile sviluppare questa lettura che credo, però, potrebbe essere produttiva. Penso che le prose, più che altri componimenti, permetterebbero di sviluppare quello che qui è stato definito un ‘tricoismo dell’io’, anche con gli strumenti specifici della critica filosofico-psicanalitica e alla luce di una contestazione di un’idea di cogito in senso cartesiano. Cf. anche l’analisi di Bal, Quoting Caravaggio, p. 235: ‘The mirror stage is crucial to the formation of the subject because it provides the sensational body of confused sense perceptions with an existence in space. […] In other words, fictive as it is, the mirror image is also, at the same time, the reality that anchors the organism in space’.63 Alle già citate ricostruzioni storiche di Jean Duvernoy, si possono menzionare ancora alcuni studi a cura di Francesco Zambon: La cena segreta: trattati e rituali catari (Milano: Adelphi, 1997); I trovatori e la crociata contro gli albigesi (Milano: Luni, 1999).
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Italian Studies has a national and international reputation for academic and scholarly excellence, publishing original articles (in Italian or English) on a wide range of Italian cultural concerns from the Middle Ages to the contemporary era. The journal warmly welcomes submissions covering a range of disciplines and inter-disciplinary subjects from scholarly and critical work on Italy"s literary culture and linguistics to Italian history and politics, film and art history, and gender and cultural studies. It publishes two issues per year, normally including one special themed issue and occasional interviews with leading scholars.The reviews section in the journal includes articles and short reviews on a broad spectrum of recent works of scholarship.