{"title":"Pervietà del forame ovale in una giovane paziente affetta da carcinoma mammario: un caso clinico delicato","authors":"C. D’Ambrosio, Divina Traficante","doi":"10.17473/1971-6818-2022-3-8","DOIUrl":null,"url":null,"abstract":"Il forame ovale pervio (PFO) è una condizione comune nella popolazione sana (circa una persona su tre ne è portatrice, con prevalenza variabile al variare dell’età) dovuta alla persistenza dopo la nascita di una comunicazione fra atrio destro e atrio sinistro del cuore. Questa comunicazione, che non è un vero foro quanto piuttosto un tunnel, è presente in tutti gli esseri umani durante la vita fetale ed è indispensabile alla ossigenazione del sangue fino alla nascita. Dopo pochi giorni o settimane dalla nascita il forame ovale tende spontaneamente a chiudersi. Tuttavia, questo processo di chiusura può risultare incompleto in una percentuale elevata di persone. L’eventuale persistenza del forame ovale pervio non ha conseguenze sul normale funzionamento del cuore e non è da considerare di per sé una cardiopatia. La sua importanza in medicina deriva principalmente dalla possibilità che in alcuni pazienti essa può rappresentare la causa di un ictus cerebrale ischemico attraverso un fenomeno raro chiamato embolia paradossa (passaggio di un piccolo trombo dalla circolazione venosa a quella arteriosa attraverso la comunicazione fra i due atri). La chiusura di un forame ovale pervio (PFO) in pazienti dopo ictus criptogeno/cardioembolico è raccomandata dalle attuali linee guida per i pazienti di età compresa tra 16 e 60 anni con un PFO ad alto rischio (classe di raccomandazione A, livello di evidenza I). In questo caso clinico presentiamo una giovane paziente con carcinoma mammario e forame ovale pervio in attesa di trattamento neoadiuvante a base di antracicline e taxani, con elevato rischio di TEV e di cardiotossicità.","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"49 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0000,"publicationDate":"2022-12-09","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":"0","resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":null,"PeriodicalName":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","FirstCategoryId":"1085","ListUrlMain":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2022-3-8","RegionNum":0,"RegionCategory":null,"ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":null,"EPubDate":"","PubModel":"","JCR":"","JCRName":"","Score":null,"Total":0}
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Abstract
Il forame ovale pervio (PFO) è una condizione comune nella popolazione sana (circa una persona su tre ne è portatrice, con prevalenza variabile al variare dell’età) dovuta alla persistenza dopo la nascita di una comunicazione fra atrio destro e atrio sinistro del cuore. Questa comunicazione, che non è un vero foro quanto piuttosto un tunnel, è presente in tutti gli esseri umani durante la vita fetale ed è indispensabile alla ossigenazione del sangue fino alla nascita. Dopo pochi giorni o settimane dalla nascita il forame ovale tende spontaneamente a chiudersi. Tuttavia, questo processo di chiusura può risultare incompleto in una percentuale elevata di persone. L’eventuale persistenza del forame ovale pervio non ha conseguenze sul normale funzionamento del cuore e non è da considerare di per sé una cardiopatia. La sua importanza in medicina deriva principalmente dalla possibilità che in alcuni pazienti essa può rappresentare la causa di un ictus cerebrale ischemico attraverso un fenomeno raro chiamato embolia paradossa (passaggio di un piccolo trombo dalla circolazione venosa a quella arteriosa attraverso la comunicazione fra i due atri). La chiusura di un forame ovale pervio (PFO) in pazienti dopo ictus criptogeno/cardioembolico è raccomandata dalle attuali linee guida per i pazienti di età compresa tra 16 e 60 anni con un PFO ad alto rischio (classe di raccomandazione A, livello di evidenza I). In questo caso clinico presentiamo una giovane paziente con carcinoma mammario e forame ovale pervio in attesa di trattamento neoadiuvante a base di antracicline e taxani, con elevato rischio di TEV e di cardiotossicità.