Per diversi decenni, c’è stato un graduale declino della mortalità per shock settico. Questa riduzione della mortalità è stata possibile grazie a un miglioramento delle conoscenze fisiopatologiche e a un approccio innovativo alla gestione terapeutica. Il concetto globale di protezione della perfusione e dell’ossigenazione degli organi nelle prime ore è ormai riconosciuto come un elemento chiave della prognosi. Il ruolo delle strutture di emergenza è quindi particolarmente sensibile nell’identificazione e nell’avvio precoce del trattamento ottimale (dalla prima ora dopo l’identificazione della sepsi), ma anche nell’organizzazione di un rigoroso orientamento di questi pazienti. Le linee guida recentemente aggiornate nel 2016 dalla Surviving Sepsis Campaign (SSC) forniscono una definizione più precisa della sepsi, definita come una o più disfunzioni d’organo pericolose per la vita a seguito di una risposta disregolata dell’ospite a un’infezione provata o sospetta, e dello shock settico, recentemente definito come un sottogruppo di sepsi in cui i disturbi circolatori e metabolici possono aumentare la mortalità. Lo shock settico viene quindi definito come la necessità di ricorrere al trattamento con vasopressori nonostante un adeguato riempimento vascolare per mantenere una pressione arteriosa media (PAM) superiore o uguale a 65 mmHg e un livello di lattato superiore a 2 mmol/l. Le raccomandazioni hanno aggiornato anche le misure terapeutiche da attuare. L’attuazione di interventi di strategia di ottimizzazione precoci e mirati sembra realistica e fattibile. La capacità di attuare e far rispettare queste raccomandazioni sembra oggi dare i primi risultati di riduzione della mortalità e di durata della degenza in terapia intensiva. Complessivamente, l’applicazione delle raccomandazioni della SSC permette di salvare una vita ogni sei pazienti che presentano questa patologia.