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Abstract
Dalla fi ne del secondo confl itto mondiale e per circa quattro decenni, gli addetti alla movimentazione delle merci nei porti italiani costituirono una componente di rilievo nell'universo della forza lavoro cui il Partito comunista e la Cgil attinsero larga quota dei loro iscritti e simpatizzanti. È in tale veste che essi sono stati oggetto di ricerche riconducibili, a vario titolo, alla letteratura sul movimento operaio. In realtà, i portuali sono una categoria sospesa fra proletariato e lobby; fra prassi corporative e moderna organizzazione del lavoro; fra settore privato e settore pubblico. Obiettivo di questo articolo sarà mostrare come, a oggi, gli studi sui portuali italiani nel periodo della Repubblica abbiano lasciato in ombra tre questioni centrali: la profonda ricalibratura delle prassi lavorative in banchina provocata dalle riforme di settore introdotte allo scadere del XX secolo; il ruolo rivestito da questa categoria nell'andamento congiunturale e nel profi lo strutturale della portualità italiana dal secondo dopoguerra in avanti; le affi nità e le dissonanze con quanto accaduto, nello stesso comparto e nel medesimo periodo, nel resto del mondo occidentale.