{"title":"Il Battistero di Firenze nella storiografia medicea tra Cosimo I e Francesco I","authors":"E. Ferretti, E. Carrara","doi":"10.1163/9789004446625_012","DOIUrl":null,"url":null,"abstract":"‘Avvertiscasi se il modo di fare le facciate de’ tempii et le [...] incrostature delle mura di varii marmi et colori, come è la chiesa di S. Giovanni et di S. Maria del Fiore et la facciata di S. Miniato et della Badia di Fiesole è cosa antica, cioè del buon tempo de’ Romani, o pure fu trovato de’ Gotti et Longobardi. Non perché io non sappia che queste di S. Giovanni et di S. Miniato son moderne, et sassi a che tempo et da chi furon fatte, ma lo dico se fusse a proposito servirsene in discorrendo come in tempi diversi è variato il modo et la forma del fabbricare. Hammi messo questo sospetto le parole di S. Gregorio Turronense c. 288 variavit marmore. Et bisognando se ne potrà scrivere a Roma; ma quanto a’ pavimenti che si facessero anchor ne’ buoni tempi di musaico di varie pietre, credo che ne sia assai buona certezza’.1 Vincenzio Borghini (1515–1580) scrive questo passo alla metà degli anni sessanta del Cinquecento, mentre era in corso da parte di Giorgio Vasari (1511– 1574) la riscritture delle Vite, pubblicate poi dai Giunti nel 1568. L’edizione dei Giunti, come è noto, è stata molto ampliata rispetto a quella apparsa presso Torrentino nel 1550, a cui Vincenzio Borghini collaborò attivamente con indicazioni e suggerimenti che Vasari tenne nel dovuto conto. Borghini, dotto","PeriodicalId":149762,"journal":{"name":"Romanesque Renaissance","volume":"46 1","pages":"0"},"PeriodicalIF":0.0000,"publicationDate":"2021-01-05","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":"0","resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":null,"PeriodicalName":"Romanesque Renaissance","FirstCategoryId":"1085","ListUrlMain":"https://doi.org/10.1163/9789004446625_012","RegionNum":0,"RegionCategory":null,"ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":null,"EPubDate":"","PubModel":"","JCR":"","JCRName":"","Score":null,"Total":0}
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Abstract
‘Avvertiscasi se il modo di fare le facciate de’ tempii et le [...] incrostature delle mura di varii marmi et colori, come è la chiesa di S. Giovanni et di S. Maria del Fiore et la facciata di S. Miniato et della Badia di Fiesole è cosa antica, cioè del buon tempo de’ Romani, o pure fu trovato de’ Gotti et Longobardi. Non perché io non sappia che queste di S. Giovanni et di S. Miniato son moderne, et sassi a che tempo et da chi furon fatte, ma lo dico se fusse a proposito servirsene in discorrendo come in tempi diversi è variato il modo et la forma del fabbricare. Hammi messo questo sospetto le parole di S. Gregorio Turronense c. 288 variavit marmore. Et bisognando se ne potrà scrivere a Roma; ma quanto a’ pavimenti che si facessero anchor ne’ buoni tempi di musaico di varie pietre, credo che ne sia assai buona certezza’.1 Vincenzio Borghini (1515–1580) scrive questo passo alla metà degli anni sessanta del Cinquecento, mentre era in corso da parte di Giorgio Vasari (1511– 1574) la riscritture delle Vite, pubblicate poi dai Giunti nel 1568. L’edizione dei Giunti, come è noto, è stata molto ampliata rispetto a quella apparsa presso Torrentino nel 1550, a cui Vincenzio Borghini collaborò attivamente con indicazioni e suggerimenti che Vasari tenne nel dovuto conto. Borghini, dotto